Pasolini a Orte

12 Gennaio 2012

Qualche giorno fa, in un commento alla lettera di Marco Belpoliti al sindaco Pisapia a proposito del progettato intervento sull’area antistante il Cimitero Monumentale di Milano, è stato “postato” un video presente su Youtube, con il solo commento “Pasolini a Orte”. Didascalia esauriente per chi ha qualche confidenza con lo scrittore e regista friulano, forse non sufficiente per altri, specie i più giovani. Allora, qualche parola per spiegare di che cosa si tratta e perché ha a che fare con la discussione innestata dalla lettera a Pisapia.

 

 

Nei primi anni settanta, Anna Zanoli, una storica dell’arte della cerchia di Roberto Longhi, curava la trasmissione televisiva della RAI Io e …; scrittori e personalità della cultura, in una serie di puntate, spiegavano il loro interesse per un monumento o un’opera d’arte. Pasolini scelse come tema La forma della città (1974). Nel breve filmato, poco più di un quarto d’ora, prima si parla della città e del paesaggio di Orte, poi – con un passaggio almeno in apparenza sorprendente – della forma urbana di Sabaudia, città fondata dal regime fascista.

 

Non tutto il materiale girato in quella occasione venne inserito nel programma della RAI. Una ripresa di pochi minuti entrò infatti in un breve documentario di Pasolini, Le mura di Sana’a, girato qualche anno prima e montato solo più tardi. Questo secondo filmato è concepito come appello all’UNESCO, in difesa dell’antica città dello Yemen, le cui testimonianze medioevali rischiavano di essere cancellate da un “indiscriminato desiderio di modernità e di progresso”. Il destino di Sana’a viene così accostato a quello di Orte, in una sorta di lamento sul destino globalizzato dei paesaggi antichi. Pasolini ne parla appunto con un piccolo gruppo di cittadini sotto la collina in cui sorge Orte, accanto a un campetto in cui alcuni ragazzi stanno giocando a calcio.

 

La scelta di “postare” oggi quel video è molto meno bizzarra di quanto non sembri, anzi pienamente in tema con la lettera rivolta a Pisapia. La sorte della cittadina laziale viene discussa con un gruppo di abitanti di Orte; non importa che, nei pochi minuti a disposizione, la discussione sia generica, un po’ evasiva, piena di luoghi comuni: Pasolini imposta la discussione sulla forma della città, o meglio sulla sua deturpazione (“qualcosa di indefinibile che chiamare brutto è poco”) come una questione essenzialmente politica.

 

Anche nel filmato trasmesso dalla RAI si parla del “profilo di una città” che viene rovinato “da qualcosa di estraneo”, un edificio ben preciso, “quella casa che si vede là a sinistra”; anche in quella puntata di Io e … si tocca insomma il problema del rapporto tra un nuovo intervento architettonico e il contesto urbano che dovrà accoglierlo.

 

Sono parole a braccio quelle del poeta di Casarsa davanti a “quella casa che si vede là a sinistra” e quelle altre “case moderne” in un altro punto della città, ma si articolano su tre distinti livelli di pensiero. Il primo: quegli edifici sono “un turbamento della forma”, perché “appartengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completamente diversi”. Come un “corpo estraneo” dunque, fuori da quello che gli appare il tessuto perfetto della città. Come si vede, sono, in altra forma, alcune delle obiezioni che si rivolgono ora al progetto milanese in questione.

 

C’è poi un altro piano, ancora più impegnativo, quello cioè del giudizio di valore. La case moderne descritte da Pasolini all’inizio sono sì case popolari “assolutamente necessarie”, ma hanno per lui un “aspetto … estremamente mediocre, povero, senza fantasia, senza invenzione”. A Orte, come nel resto d’Italia, sta sorgendo appunto “qualcosa di indefinibile che chiamare brutto è poco”. Questa perentorietà nei giudizi non è accompagnata da alcuna premessa teorica; questo accade non tanto perché fosse impossibile parlarne in una trasmissione così breve, quanto perché per Pasolini era superfluo dibattere su ciò che è bello e ciò che non lo è, almeno in relazione alla storia dell’arte e dell’architettura. Lo scrittore friulano, in altre parole, condivideva sostanzialmente i criteri di giudizio e i canoni propri della cultura umanistica in cui era cresciuto. Formazione umanistica che affiora di continuo, persino in queste brevi riprese; per fare un solo esempio, la città di Orte gli appare con “la solita bruma azzurro-bruna della grande pittura nordica rinascimentale”. Per questa cultura, pur nelle ovvie oscillazioni e contraddizioni, “bellezza” e “bruttezza” erano legate a un ben preciso corpo di autori e di opere e portavano con sé conseguenti implicazioni etiche.

 

Tutto questo sistema di valori culturali, nel tempo intercorso tra gli anni Settanta e noi, si è andato confrontando, risultando spesso sconfitto, con quella che viene definita, per semplificare le cose, cultura di massa. Anche nel campo dell’architettura, come in altri campi dell’espressione artistica, bisognerà dunque fare lo sforzo di riparlare da capo di bello e di brutto, affrontando di nuovo anche il versante teorico, se non altro per demistificarne l’uso banalizzante e vuoto che spesso se ne fa.

 

Quanto a Pasolini, sapeva bene che una possibile obiezione al suo discorso su Orte era che veniva da una posizione estetizzante: “ho un senso estetico forse esagerato, eccessivo, da anima bella”. In realtà è nella stessa trasmissione RAI del 1974 che egli smentisce questa idea: la bellezza di Sabaudia non è solo una questione estetica, non dipende tanto dal fatto che “ricorda, mettiamo, la pittura metafisica di de Chirico”; la bellezza di Sabaudia è tale perché affonda nella “realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleo-industriale”. L’elemento “miracoloso” di Sabaudia, insomma, il suo essere “incantevole” vengono riportati a un processo storico di lunghissima durata, a un panorama culturale per nulla intaccato e condizionato dal Fascismo.

 

È questo il terzo livello su cui si sviluppa la reazione di Pasolini. Fino a qui il suo ragionamento non ha fatto altro che rielaborare – da par suo, si intende – idee che si discutevano in Italia fin dagli anni Sessanta; esito di questo dibattito fu, tra l’altro, la nascita del ministero dei Beni Culturali, giusto alla fine del 1974. Ma proprio a questo punto il pensiero di Pasolini diventa interamente originale, riannodandosi strettamente a temi che innervano tutta la sua opera di poeta, di scrittore, di regista e polemista. A Sana’a, Orte e Sabaudia – casi esemplari di una situazione ben più ampia – le questioni urbanistiche e quelle estetiche sottintendono un piano più essenziale, il rapporto col passato della città e della comunità che vi abita. La difesa del paesaggio (e non solo italiano) trova cioè la sua ragione più profonda – prima ancora che nella razionalità degli assetti urbani, prima ancora che nella qualità stilistica dei vari contesti – in quella che Pasolini chiama, nel documentario su Sana’a, la “scandalosa forza rivoluzionaria del passato”. È infatti dalla obliterazione del passato o, quantomeno, dall’incapacità di fare i conti con esso che veramente inizia la rovina e la distruzione del paesaggio. Le conseguenze sono catastrofiche, ma qui, appunto, sta il nucleo del suo pensiero: è addirittura l’“irrealtà”, la perdita di un contatto con il “mondo reale”, che “dilaga attraverso la speculazione edilizia del neocapitalismo”.

 

Riguardiamo i fotogrammi con la palazzina a cinque piani di Orte e con le case popolari vicino a uno “stupendo acquedotto su quel terreno bruno”. Sarebbe interessante vedere tutto questo oggi. È ancora davvero “stupendo” l’acquedotto? Case e palazzina sono state riassorbite nel panorama di Orte, nella sua “forma perfetta” come appariva a Pasolini? O mantengono un aspetto così mediocremente povero come quarant’anni fa? Il punto è che quel linguaggio architettonico – “senza fantasia, senza invenzione” – dovunque nel nostro paese è diventato il linguaggio comune, magari nella sua versione imbellita e aggiornata in superficie; e, cosa ancora peggiore, viene recepito come un linguaggio normale.

 

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