Indicativo presente | Duecento giorni in classe / Ridere

1 Dicembre 2018

In sei ore ne capitano di cose, stando insieme. Raramente nella nostra vita privata dobbiamo stare nella stessa stanza con qualcun altro ore e ore, senza pause. Oggi è tale la paura che un ragazzino si spacchi il naso durante un intervallo che certi dirigenti scolastici addirittura vietano di fare l’intervallo nei corridoi e negli atrii! Chiusi in classe! Oppure spuntano cartelli di VIETATO CORRERE! VIETATO USARE IL CELLULARE! VIETATO FUMARE! (questo diventa attuale ormai dalle classi terze della media, dove i maschi credono di farsi fighi svapando nei bagni…). La mia innata propensione alla provocazione mi spinge più volte a voler appendere qualche altro cartello, tipo: VIETATO RIDERE! VIETATO ABBRACCIARSI! VIETATO STARE BENE! Lo so lo so, i pericoli ci sono: a me in prima media hanno spaccato il naso; resta uno dei rari ricordi della mia infanzia; immenso atrione alla scuola media Majorana; orde di classi mescolate, scatenamento scimmiesco generalizzato; un tizio con rincorsa salta in groppa a un altro tizio che mi precipita sul naso con la tempia; svengo, e quando riapro gli occhi vedo il mio sangue per terra dappertutto; risvengo, e quando mi sveglio in pronto soccorso un medico cerca di raddrizzarmi con i pollici il naso. Ne so qualcosa, ma niente è più difficile che spiegare ai bambini, ai ragazzi, e agli adulti l’inesorabile concatenazione di causa-effetto. Niente da fare. Respiro tutt’ora con una narice alla volta, e ho troppa paura di farmi operare al naso.

 

Quindi, capisco che un dirigente scolastico tenda a trasformare una scuola in un carcere di massima sicurezza: prevenire, proibire, visto che al punire ci sono ancora poche alternative e non si può più. Ma ogni passo che facciamo nella direzione di bloccare i loro corpi ne facciamo uno indietro lontano dall’affettività; se loro non possono correre, noi non possiamo toccarli. Guai se un professore sfiora con il suo corpo un allievo! Chiunque può denunciarti per pedofilia, se gli dai una carezza sulla nuca (spesso infestata di pidocchi) o per violenza sui minori se lo allontani con energia dalla zuffa con un rivale. Se oggi dovessimo osservare ogni possibile effetto accidentale o legale di un nostro comportamento in una scuola potremmo tranquillamente passare alle videoconferenze in assenza. A che serve il mio corpo di prof in una scuola o in una classe se non posso camminare con loro, abbracciarli se piangono, dare una pacca sulla spalla se stiamo ridendo, spingerlo lontano se si sta schiaffeggiando?  Se devo restare una voce che “fa la lezione” e enumera le regole e le proibizioni passiamo pure alla robotizzazione: ce ne stiamo a casa e ci colleghiamo in videodiretta mentre qualche domatore mantiene i loro corpi zitti e muti in classe.

 

 

Detta così sembra che la scuola sia un posto tristissimo. Ma effettivamente i ragazzi ridono. In continuazione. Non ridono per niente entrando, poi in inesorabile drop techno ridono in classe durante la lezione, ridono a crepapelle uscendo. Non è piacevole stroncare una risata in un ragazzino e sistemare l’apprendimento nella colonna delle non-risate. Un altro ricordo della mia scuola media è appunto quello delle risate (a crepapelle spesso) che ci facevamo in classe. In seconda media eravamo solo due piemontesi: la scuola media Ippolito Nievo aveva appena fatto ingresso nella nuovissima e quasi bella sede in Largo Mentana, in zona pre-collinare, che oggi è ovviamente una scuola piuttosto chic. Ma quello era il primo anno in cui la vecchia sede vicino alla stazione centrale di Porta Nuova, fatiscente, era stata definitivamente chiusa. 20 studenti su 22 in quella seconda (beh, sì, dopo la rottura del naso avevo cambiato scuola…) erano figli di immigrati italiani meridionali. Usai e Palladino erano multiripetenti; erano altissimi, giganteschi rispetto a noi, e almeno Usai per me era un figo assoluto: aveva capelli lunghi sino alle spalle e fumava. Palladino era meno figo ma facevano coppia. Durante l’ora di Tecnologia una volta con metodica lentezza avevano cominciato ad impilare tutte le sedie della classe, mentre il povero prof urlava a squarciagola vietandoglielo. La pila cresceva… era diventata una piramide… altissima… quindi? A un certo punto Usai prende la sedia più sotto… e la strappa via! Un boato spaventoso! E io, Franti, risi. Ridevamo tutti. E Usai e Palladino si presero l’ennesima nota.

 

Se un mio allievo oggi provasse a fare una cosa del genere non riderei proprio. Quindi, quello che fa ridere un ragazzino quasi mai fa ridere un prof. Li trovo stupidini e scemini, ma non posso dirlo se no sono anti-pedagogico eccetera. Ma quando sono lì, tutto socratico che cerco di condividere con loro (non si dice più “fare lezione”, loro dicono “il prof ci spiega”) il tema dei Paesi ricchi e di quelli poveri nel mondo, quando cerco di attirare la loro attenzione spiegando che colonialismo imperialismo e guerre non sono che la versione statale della prevaricazione o del bullismo che loro quotidianamente possono agire o subire come individui, e ne vedo 2-4-6 che tra di loro ridono per Dio-sa-solo-cosa, a me non vien da ridere e devo cercare di non arrabbiarmi. Mi sento offeso! Sì, certo! Ragazz, 80 anni fa mio padre per andare a scuola ha dovuto lasciare il suo villaggio di montagna e scendere in città, oggi avete l’istruzione gratuita e in classe ridete? Allora, invece di urlare, mi offendo e sto zitto e li guardo. Un minuto, due minuti, tre minuti… qualcuno comincia a urlare “state zitti!” e per ora si arriva ancora agli ultimi due o tre che nel silenzio dicono una sciocchezza, ridono, si guardano intorno, e hanno la vaga sensazione di essere fuori dal coro. E tacciono, e mi guardano.

 

Le uniche volte in cui ridono per qualcosa che dico io è quando acchiappano un doppio senso volgare. Huda non ha il libro, come al solito, e io sto facendo leggere a turno. Sekou il libro ce l’ha, ma è uno di quelli che ridacchiano perché quando vuole leggere legge così male che si vergogna e non va oltre una frase. Allora Huda – che quando smette di litigare con Mwaka vuol farmi vedere che oltre che carina è pure brava - vuol leggere. Ma Sekou, visto che lei civetta e si punzecchia e si dà schiaffetti con Mwaka e non con lui, non vuol condividere il suo libro con lei manco morto. Allora Huda mi urla “prof! Sekou non mi fa vedere il suo libro!” e quando io dico “Sekou , faglielo vedere!” viene giù la classe dalle risate. Maschi e femmine. Vabbeh, mi scappa un sorriso quando arrivo anch’io a quel punto al doppio senso. Grazie al cielo suona l’ultima campanella.

Devo trovare il modo di ridere con loro.

 

24 novembre 2018

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