Speciale Jeff Wall | Davanti al nightclub
Baudelaire l’ha ingiunto con autorità: basta dipingere scene del passato, uomini in toga; si dipinga la “vita moderna”, scene contemporanee in abiti d’oggi. Manet ne ha dato la versione più innovativa: non solo realismo ma anche intelligenza interpretativa. Intanto era arrivata e si era diffusa la fotografia.
Édouard Manet, Ballo in maschera all’opera, 1873.
Scrive il critico Thierry de Duve che “è come se Wall fosse tornato indietro al bivio della storia”, al momento in cui con Manet la pittura registrava lo shock della modernità e della fotografia; come se avesse seguito la strada che non è stata presa dalla pittura e l’avesse ripresa in fotografia. Non in senso conservatore e in nome della continuità, bensì con la consapevolezza di ciò che è accaduto nel frattempo, le avanguardie e i loro rovesciamenti, e della nuova posizione da cui si riprende.
Oggi infatti, con lo stereotiparsi e svuotarsi dei gesti e dei linguaggi, dice Wall, questo è cambiato, che ci si sente un po’ come se fossimo fuori dalla realtà, in attesa di entrare.
Lì siamo sospesi in una quasi realtà, in una zona di mezzo, che imita la realtà, ma di cui resta visibile che si tratta di una messa in scena. Siamo come in una fotografia.