Teatro Pasolini

8 Novembre 2015

Il teatro di Pasolini è un fantasma o Pasolini si aggira come uno spettro per il teatro italiano? A vedere i due spettacoli prodotti, tra le tante iniziative, nell’ambito della rassegna bolognese Più moderno di ogni moderno. Pasolini a Bologna, entrambe queste affermazioni suonano vere e false allo stesso tempo. In modi diversi, Archivio Zeta e Andrea Adriatico con i Teatri di Vita hanno voluto dimostrare la disperata vitalità di questo autore anche nel teatro, un’arte da lui amata, ma non praticata con la stessa tenacia di altre.

 

 

Pilade

 

Archivio Zeta articola il suo Pilade/Pasolini in tre episodi situati, con la complicità di un bellissimo 1 novembre di Ognissanti di sole, in altrettanti luoghi all’aperto. Il testo è uno dei sei composti tra il 1966 e il 1967 nell’ambito di quello che chiamerà il suo “teatro di parola”, stimolo dialettico e culturale per i settori più intellettualmente avvertiti della società italiana. La compagnia toscana, da poco più di un anno trasferitasi nel capoluogo emiliano, si era avvicinata a questa maratona per l’anniversario della morte dello scrittore con quattro allestimenti di parti del dramma, ambientati in siti differenti. Aveva iniziato il 25 aprile a Monte Sole, luogo della strage nazista di Marzabotto, con uno degli episodi centrali, Pilade /Montagne. Aveva continuato a Volterra in luglio, per il festival organizzato dalla Compagnia della Fortezza, con Pilade / Campo dei rivoluzionari, per poi collocare in agosto con Pilade/Boscocimitero l’inizio e la fine dell’opera tra le suggestioni e i silenzi del Cimitero militare germanico della Futa, luogo di meditazione sulla violenza, il furore, la guerra, la morte. Aveva concluso il ciclo in settembre con Pilade / Parlamento davanti a villa Aldini, monumentale edificio neoclassico con colonnato e timpano costruito per Napoleone, quasi mai abitato, oggi vicino a un centro di accoglienza per migranti.

 

Villa Aldini, Athena su Bologna

 

Con questa spezzettatura, che corrispondeva a un lavoro di scavo nelle parole, nelle frasi – rallentate, sottolineate, trasformate in icone di intenzioni, idee, atti, sottotesti – Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti (anime della compagnia) volevano sottolineare anche – credo – l’irrappresentabilità integrale di un testo ricco di spunti ma anche sovraccarico di simbologie e metafore legate alle transizioni dell’Italia del dopoguerra, molto intellettuale, politico, a volte anche riavvolto su se stesso. Avevano voluto, frammentandolo, esaltarne gli sprazzi poetici, sottolinearne alcuni messaggi, quelli che facevano di Pasolini un testimone di una troppo violenta modernizzazione e omologazione, e una sua identificazione nel personaggio di Pilade, coscienza critica destinata a essere contro per finire a diffidare della messianicità di una ragione troppo identificabile con il potere.

 

In questo modo alcuni personaggi, come Elettra, erano sacrificati, e lo stesso Oreste veniva sovrapposto ad Atena, creando forse qualche ulteriore oscurità che però, nella frammentazione delle singole tappe, non risaltava. Era avvincente, invece, la relazione con i luoghi, la capacità di farli risuonare con le parole, nelle parole, proponendo scenari naturali insidiati dall’antropizzazione, paesaggi carichi di storia e memoria, ambienti industriali colti nell’atto del lavoro come le saline di Volterra, dove arrivava anche più dell’eco di lotte di operai minacciati di licenziamento da una fabbrica di punzoni all’avanguardia, la Smith Bits. La parola, lo spazio, le musiche, ora riprodotte, ora eseguite dal vivo con violoncelli o armoniche, barocche o elettroniche, ora tappeto sonoro in cuffia alle parole di Atena o di Pilade che risuonavano nelle orecchie dello spettatore come voci divine, arcane, mitiche, creavano altri piani, anche emozionali, per la lettura del testo.

 

Villa Aldini, Parlamento

 

 

 

Maratona

 

Ora i tre episodi sono stati riuniti in un’unica giornata, l’1 novembre, anticipata da alcuni incontri a cura di Rossella Menna, intitolati Una bestemmia alta, dolce e ragionata, sui vari aspetti del progetto. La storia di Oreste che torna ad Argo dopo l’uccisione della madre con il viatico di Atena che ha trasformato le dee furiose del passato in benevole Eumenidi, e che muta anche la sua città in una democrazia, si sviluppa con l’annuncio del ritorno delle antiche rabbiose Furie, con la fuoriuscita di Pilade dalle mura, per sospetto del vecchio che avanza nel nuovo, e il suo ricorso sulle montagne alle Eumenidi e ai montanari per organizzare una nuova resistenza, e si conclude con la vittoria finale della dea dei mercati, Atena, della ragione, degli stadi, capace con le sue giravolte loiche, con le sue lusinghe di sviluppo, di integrare Furie e rivoluzionari. La maratona in un unico giorno inizia laddove era finita la rappresentazione a tappe, a villa Aldini.

 

Villa Aldini, Parlamento

 

Davanti a questa sorta di Partenone ottocentesco, Atena fonda la nuova democrazia parlamentare, alla quale vengono chiamati a partecipare anche i più reietti, con la speranza di un avvenire migliore. Archivio Zeta ha coinvolto alcuni dei migranti presenti nel contiguo centro di accoglienza. La città mitologica marcia sopra la città reale, una Bologna che si distende ai piedi del colle dell’Osservanza. I cittadini, neri ma anche bianchi, si avvolgono in alcune di quelle coperte termiche che vediamo spesso nei servizi televisivi da Lampedusa, e si dirigono in corteo sotto il colonnato, a stringersi uniti contro il ritorno delle forze del passato, le Furie, annunciato da un vecchio viandante.

 

 

Il secondo episodio si svolge, qualche ora dopo, al Poligono di tiro nazionale, luogo dove i fascisti fucilarono quasi trecento partigiani. Pilade cerca di organizzare la resistenza, con i montanari e le Eumendi, rimaste fedeli alla nuova ragione che ha fatto di quelle antiche Furie, divinità del passato oscuro, delle passioni violente, le dee benevole non più degli incubi ma dei morbidi vagheggianti sogni. Si inizia davanti al monumento ai partigiani fucilati e poi, come un rito scandito da musiche barocche e da parole che scavano i significati, le Eumenidi, con il volto verde, e i montanari si schierano tra i bersagli del poligono, in un episodio interlocutorio.

 

Poligono di tiro nazionale. Dall'alto: Pilade sulle montagne; Pilade e le Eumenidi; Il bambino

 

Il finale, sotto una pensilina attribuita all’architetto Nervi, a fianco del nuovo modernissimo Comune, tra le macerie del vecchio mercato ortofrutticolo e la nuova Bologna che sta sorgendo, palazzoni chiusi ancora tra le impalcature, taglia un bel pezzo del testo e si incentra sulla nuova rivoluzione pacificatrice di Atena, la promessa di una società razionale, sviluppata, dove tutti staranno bene e dove ogni mostro sarà domato. Qualcosa che somigliava alle promesse del neocapitalismo anni sessanta e del boom consumistico. Pilade si ritrae, abbandonato dal suo stesso esercito sedotto dalle sirene di Atena. Lo seguiamo più in là, verso uno sbarramento di traversine di cemento prima dei cumuli di laterizi, sassi, terra, mattoni abbandonati, contro un cielo che va verso l’indaco profondo, dentro la notte. Qui, mentre il bambino (Elio Guidotti) e il vecchio (Alfredo Puccetti) che hanno seguito (e scandito) la storia fin dal mattino, portando annunci o avanzando flebili dubbi, si addormentano uno dopo l’altro, inconsci della Storia, Pilade e Atena-Oreste hanno un ultimo abboccamento, che porta il protagonista, controfigura dell’intellettuale-contro Pasolini, a interrogarsi sulla fine della tragedia, forse della storia, nel silenzio. Si augura Pilade la fine della maledetta ragione che troppo somiglia al potere e all’oblio di quello che ci portiamo dietro nelle viscere dai secoli.

 

Le varie parti sono inframmezzate o concluse da interventi registrati con la voce di Pasolini, con musiche dei suoi film, il twist della Ricotta, con sue famose poesie come brani delle Ceneri di Gramsci, come “Io sono una forza del passato”. Abbandonata la frammentarietà deliberata per sprazzi poetici delle tappe di avvicinamento a questo finale, le diverse parti accostate in un’unica giornata, sia pure in tre episodi, lasciano qualche dubbio sulla drammaturgia, con passaggi non chiari (l’abolizione del personaggio di Elettra, fondamentale per il ritorno del passato oscuro e rimosso, autoritario, “fascista”, la sovrapposizione Atena-Oreste che a volte confonde i piani). Emerge l’impressione che comunque, se si voleva puntare sull’estrazione di certi temi, quelli che risaltano nella riscrittura di Guidotti e Sangiovanni, in fondo quelli più noti del Pasolini corsaro, si poteva avere ancora più coraggio e tagliare di più, riducendo a due le sezioni, evitando passaggi che staccati dall’articolata struttura altalenante dell’opera corrono il rischio di diventare mere sovrapposizioni, ripetizioni.

 

Poligono di tiro nazionale, Athena, montanari, Eumenidi

 

Eppure così il fantasma di questo testo per il teatro articolato, complesso, in definitiva poco teatrale secondo criteri correnti, trova una sua vitalità, con quella bambina vestita di rosso che duplica Atena (Antonia Guidotti), con quel bambino dallo sguardo perso verso l’orizzonte o dentro chissà quale mondo, con quel vecchio pellegrino che si aggira per questi paesaggi della mente rappresentando il popolo che guarda testimonia e si tiene prudentemente discosto per non farsi troppo male. Il Pilade di Gianluca Guidotti, vestito da rivoluzionario d’epoca, un po’ contadino, un po’ partigiano, un po’ ribelle anni settanta, dà alle sue frasi, sempre dilatate, intonazioni di chi affronta il mondo per domande, per smarrimenti, per stupori; mentre è assertivo, insinuante, seducente sempre il discorso di Atena-Oreste, padrona del campo, destinata solo alla fine alla sconfitta nel dubbio straziato dell’antico amico-alleato-allievo Pilade, che ha provato un cammino di esperienza e dolore. E, nei luoghi, nella drammaturgia, rifulgono, rapiscono, certi passaggi della scrittura del poeta che prova a decifrare, straziato, un mondo che sente come suo e come estraneo, popolato di mostri antichi, lanciato verso futuri orrori.

 

 

Pensilina Nervi. Dall'alto: Athena e i cittadini; Entrata di Athena trionfante con Eumenidi con ramoscelli di ulivo

 

Encomiabile il lavoro appassionato che ha coinvolto molti non professionisti, i migranti, un gruppo di uomini e donne bolognesi, un gruppo di Volterra, compresi alcuni operai della fabbrica minacciata di delocalizzazione e ristrutturazione (nella città toscana Archivio Zeta svolge da due anni progetti aperti al territorio, in collaborazione con il festival VolterraTeatro). Uno dei lati più affascinanti del progetto e del modo di lavorare di Archivio Zeta, che costruisce, nelle strade che percorre, piccole, temporanee comunità.

 

 

Rimangono scolpiti nella mente e nel cuore alcune immagini: il corteo nelle coperte termiche, gli spazi siderali che si scavano tra Pilade e Atena mentre la loro voce ci giunge vicina dalle cuffie, Eumenidi e montanari schierati come bersagli nel Poligono, il corteo dei rivoluzionari con le belle bandiere bianche sul cielo rosseggiante del tramonto e Pilade, solo, contro la città che si distrugge con le macerie del vecchio mercato e la nuova città che si costruisce come una skyline di palazzoni simili a isolati giganti faraglioni, a enormi radi denti di una immensa bocca cariata. E le parole di Pasolini, le musiche assemblate o composte da Patrizio Barontini, il coraggio di un’impresa inusitata per tempi come i nostri di risparmi e di paura del rischio, curata per mesi, per un anno. Lo spettro del teatro di Pasolini qui ritrova una carne, contraddittoria, se volete, incompleta e assolutamente personale, un tradimento o una santificazione per popolare i nostri giorni, per confermare la necessità di ricorrenti domande, per agitare i nostri sonni.

 

Finale, Pilade

 

 

Petrolio

 

Il fantasma di Pasolini torna a teatro per i suoi messaggi, per le sue parole, incarnandosi in corpi diversi da quelli della sua produzione teatrale. La sua storia sulla scena è stata, in questi anni, soprattutto fatta di spunti tratti dagli Scritti corsari, dalle opere di poesia, di cinema, di narrativa, da Petrolio. Artisti come Antonio Neiwiller, Leo de Berardinis, Danio Manfredini, Pippo Delbono hanno attinto variamente a quel corpus non conciliato. Il Teatro delle Ariette nel nome dello scrittore, per Santarcangelo 2004 coltivò un campo con mais e ortaggi e vi ambientò un poetico cimitero pasoliniano. Virgilio Sieni e Sandro Lombardi hanno danzato e detto Le ceneri di Gramsci. Mario Martone nel 2003-2004 invitò una bella parte del teatro a cimentarsi con Petrolio, e ne vennero fuori vari lavori, tra i quali Come un cane senza padrone di Motus (ma il Pratone del Casilino era già stato visitato da Giuseppe Bertolucci per Antonio Piovanelli e lo stesso Bertolucci dirigerà Fabrizo Gifuni in ‘Na specie de cadavere lunghissimo). E tanti altri dovremmo citare.

 

Andrea Adriatico torna a Petrolio per la rassegna bolognese, dando al suo lavoro un titolo che strizza l’occhio all’attualità, Is, Is Oil. Gli attori girano tra il pubblico già nel foyer, abbigliati come per un party d’alta società. E lo stesso spazio scenico è trasformato in un salotto anni sessanta, con poltroncine e tavolini al posto delle solite file di sedie della sala teatrale, tra tendaggi che diventeranno schermi neri per proiezioni delle figure, ritagliate da ogni ambiente, dei personaggi di Carlo, dell’angelico Carlo I e del sulfureo Carlo II. Le storie di questo ingegnere, membro produttivo della società, legato agli intrallazzi dell’Italia arrembante dell’epoca della ricostruzione e del boom, di Mattei e di Cefis, si allargano al suo desiderio, alle sue fantasie sessuali, alla sua trasformazione – anatomica, mitologica, psichica – androgina e poi decisamente femminile, con una scarnita ma efficace evocazione della scena di possesso nel pratone del Casilino.

 

Sono molto caratterizzati i personaggi del salotto della signora F, con una recitazione tesa fino al caricaturale di due delle attrici, Anna Amadori e Olga Durano, mentre gli altri (Giovanni Capuozzo, Francesco Martino, Alberto Sarti, Davis Tagliaferro, Selvaggia Tegon Giacoppo) e loro stesse in differenti momenti si fanno portatori funzionali della storia, lasciando alla brava Patrizia Bernardi il ruolo di voce dolente, profonda, vera. Intorno a quel salotto si tessono trame affaristiche e complottistiche, quella storia della “modernizzazione” senza estirpare le vecchie furie conservatrici, classiste, “fasciste”, che porterà allo scoppio di varie bombe, e quella lotta per il petrolio al quale allude il titolo, effettistico ma poi poco supportato dallo spettacolo, se non con un’apparizione di figure di giovani che sembrano mujahidin, giovani dell’Intifada o terroristi. Il merito dello spettacolo è di riproporre in modo lineare una bella parte di Petrolio, di fare una silloge di alcuni dei suoi momenti fondamentali. Ciò avviene, però, senza aggiungere molto a ciò che già sappiamo del romanzo, in modo illustrativo, senza veri scatti in ulteriori paesaggi.

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