Tormentoni 4. Panico ispanico

8 Agosto 2023

Panico ispanico: ogni estate sempre più canzonette confezionate per Spotify e gli audio dei reel di Instagram e TikTok echeggiano ritmi tutti spiaggia, acque cristalline (e squali, di cui però non si canta mai); il testo può essere anche in uno spagnolo da Google Traduttore, che importa? L’onda lunga delle Baleari non è finita, e a quella si è aggiunta la Corrente del Golfo musicale che arriva da Puerto Rico e Cuba e sbarca a Miami e poi balza sulle coste atlantiche europee. Non c’è scampo. Ibiza diventa regina delle discoteche estive (o, se la qualità è migliore, della club culture) da fine anni Ottanta, dopo che quattro dj inglesi (Paul Oakenfold, Johnny Walker, Danny Rampling e Nicky Holloway) vanno a perlustrare in loco l’Amnesia di San Rafael: non è altro che una finca rústica, un campo che deve ancora diventare il tempio della summer dance.

No me siento segura

Il feedback dei quattro inglesi inietta nel pop internazionale quel sound, e quel modo “loco” di vivere l’estate. La Baia degli Angeli di Gabicce apre invece il fronte adriatico delle danze seminude a metà degli anni Settanta, e poi arrivano Rimini e Riccione. La Italo Disco viene inventata come tag da Bernhard Mikulski, un produttore e discografico tedesco, che importava in Germania la nostra produzione dance: Raffaella Carrà, brava ragazza sexy, è la prima star, nel 1974 con Rumore, e due anni dopo con A far l’amore comincia tu (poi usata nel remix di Bob Sinclair come inno della débauche d’élite romanesca da Paolo Sorrentino nel suo La grande bellezza), seguono Splendido splendente della Rettore e Comprami di Viola Valentino, e Renato Zero con Mi vendo (1977-1978). Se la Carrà diventerà un idolo in Spagna e in Sudamerica e un’icona del popolo gay internazionale, Renato Zero riportava in auge la sfrontatezza del corpo sessuale venduto, pioniere mediterraneo del coraggio transizionale. Rumore in spagnolo è del 1976: «No me siento segura».

 

L’apoteosi esplicita del panico ispanico (panico nel senso mitologico greco eh, del dio Pan e del dio Dioniso e delle sue Menadi, orge d’alcol e sesso nella calura mediterranea) è tutta colpa di Sandy Marton, che nel 1984 interpreta People from Ibiza. L’efebico croato Aleksandar Marton (in effetti, più apollineo che dionisiaco) viene scovato e prodotto da Claudio Cecchetto (non è nemmeno chiaro se sapesse cantare e suonare) e viene sparato al tramonto del decennio dell’Italo Disco, nell’era del Festivalbar: People from Ibiza sta dieci settimane consecutive al 1° posto della hit parade italiana, e arriva al 4° in Norvegia, al 7° in Austria, al 10° in Germania. Il motivetto bacava in testa, indubbiamente, la base electro era elementare ma funzionava per i ragazzi nordici, e il testo in ingletaliano era di una bruttezza davvero imbarazzante: «Dancing on the sand in Wonderland»

Vamos a bailar

Soltanto l’anno prima Stefano Righi (alias Johnson Righeira) aveva azzeccato il tormentone più cult della storia, Vamos a la playa, di cui in questo 2023 si celebra il quarantennale. Oggi Righi ha 62 anni, vive a San Giorgio Canavese e produce un po’ di Erbaluce. Paolo Morelli, per il “Corriere della Sera – Torino” lo ha intervistato l’11 luglio, riflettendo con lui proprio su come sono cambiati i tormentoni estivi: «È cambiato qualcosa in tutta la musica anche per come viene fruita, senza un supporto vero e proprio. Una volta compravi un disco, ora la ascolti su uno smartphone. C’è poi anche una ricerca forsennata del tormentone, alcuni si ispirano anche agli anni ’60, periodo d’oro dei tormentoni estivi quando ancora non si chiamavano così. Vamos a la playa però aveva comunque un’anima, ora mi pare si facciano cose di laboratorio senza un’esigenza espressiva, c’è una ricerca artificiosa. Magari dei brani si sentono per due mesi “a palla”, ma poi spariscono, faccio fatica a pensare che fra quarant’anni siano ancora lì. Più si va avanti e più è difficile fare qualcosa che non è stato fatto prima, anche perché mancano le idee. Oggi c’è tantissima roba, produrre è più facile ma il mercato non esiste più, si parla solo di streaming, mentre un tempo entravi nel canale giusto e via». Che Johnson Righeira sia ormai un venerabile guru del tormentone lo conferma anche Fabio De Luca, che per Nottetempo ha appena pubblicato un libro intero su di lui: Oh, oh, oh, oh, oh. I Righeira, la playa e l’estate 1983.

Bando agli intellettualismi! Nel 2000 due cantautrici peperine italiane, Paola & Chiara, con Vamos a bailar (esta vida nueva) tirano fuori la più bella canzonetta ispanica non spagnola sino a fine del secondo Millennio, e spaccano. E come la Raffa cantano anche loro una versione in spagnolo che ha successo anche in Spagna. Ancora oggi è una canzoncina carina, con un testo di orgoglio e libertà femminile: lei si è proprio stufata di lui e se ne va a bailar; terzo Millennio, addio Maschio!

Se qualche volta ho creduto che
fosse impossibile
non ho più niente da perdere
solo te

Il testo spagnolo è meno incazzoso, più morbido, “seguo il mio cuore, lontano da te”:

Pides motivos para este adios
nunca te quise herir
sigo de cerca mi corazón
lejos de ti

Made in Spain

Però vogliamo ascoltarcelo un tormentone ispanico veramente spagnolo? Uno che, mannaggia, mi fa venir la malinconia, perché era “la nostra canzone” di un amore andato. Erano gli anni Dieci del Duemila e la Spagna stava tornando a piazzare nell’arena internazionale roba nuova e autentica: La casa de papel sbancherà su Netflix dal 2017, Bailando di Enrique Iglesias è di tre anni prima, e dopo Calvin Harris ecco un altro bel ragazzone del Terzo Millennio che ama una sola fanciulla, ne celebra fisica, chimica, anatomia, fantasia e filosofia, e solo con lei vuol gioire e vivere!

Con tu física y tu química, también tu anatomía
la cerveza y el tequila, y tu boca con la mía
ya no puedo más (ya no puedo más)
ya no puedo más (ya no puedo más)

Con esta melodía, tu color, tu fantasía
con tu filosofía mi cabeza está vacía

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