Verso una riforma del teatro?

24 Ottobre 2013

Era il 9 febbraio 2013 e mancavano poche settimane alle elezioni politiche. In occasione dell’edizione fiorentina delle Buone Pratiche – curata, come di consueto, da Oliviero Ponte di Pino e Mimma Gallina – il mondo del teatro aveva avuto la possibilità di un confronto diretto con Salvatore Nastasi, direttore generale per lo Spettacolo dal vivo. Si era parlato di tagli al FUS, di accesso ai finanziamenti ministeriali, di metodi di selezione: “i criteri storicistici e quantitativi si sono dimostrati, a mio avviso, fallimentari; ma bisognerà confrontarsi con le linee dettate del governo entrante”, dichiarava Nastasi.

 

19 ottobre, edizione straordinaria delle Buone Pratiche presso il centro congressi di Fondazione Cariplo di Milano, organizzata come sempre dalla webzine ateatro: accanto a Nastasi oggi siede il ministro Massimo Bray e all’ordine del giorno c’è un approfondimento sul decreto Valore Cultura, licenziato dal governo ai primi di agosto e approvato il 3 di ottobre. Non sono pochi gli aspetti che hanno destato preoccupazione, e forti segnali d’allarme sono stati lanciati fin da subito dalla Scala e dal Piccolo Teatro di Milano: particolarmente delicato, per la Scala, l’obbligo a ridurre il numero dei membri del consiglio di amministrazione, che pare ridimensionare il peso dei finanziatori privati dell’ente lirico.

 

Massimo Bray con Mimma Gallina

 

A margine di questi nodi critici – sui quali Bray si è pronunciato lasciando aperta la possibilità di una soluzione ad hoc – qualche zona d’ombra emerge anche sul resto del mondo dello spettacolo dal vivo: e sono stati proprio Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino (a nome dell’associazione Ateatro) a sottolineare mancanze di chiarezza e problematicità e a chiedere risposte al ministro. Molte, infatti, le domande che restano aperte, soprattutto in vista del decreto attuativo che seguirà entro novanta giorni dall’approvazione: a quanto ammonterà il fondo riservato allo spettacolo? Verranno affrontate le questioni legate alla gestione dei teatri stabili? Saranno previste agevolazioni fiscali per le donazioni private? In che modo sarà favorito l’accesso ai finanziamenti di nuove realtà? E come avverrà l’assegnazione di nuovi spazi a cui si fa riferimento nel decreto?

 

 

Quando prende la parola, Bray mette in luce subito come sia del tutto assente, in Italia, un disegno complessivo e organico sullo spettacolo dal vivo: dopo la legge del 1967 pensata per gli enti lirici – ricorda il Ministro – si sono stratificate singole circolari ministeriali, divulgate spesso sull’onda di una particolare emergenza e senza una logica di pianificazione. E anche se non risponde direttamente alle puntuali questioni poste dagli organizzatori, Bray si pronuncia sulle linee guida su cui il governo intende muoversi per i decreti attuativi: i finanziamenti saranno pensati in una prospettiva di triennalità, periodo durante il quale l’ente retribuito sarà sottoposto a controlli. Per simili operazioni di monitoraggio, così come per quelle di selezione, saranno poi predisposti dei comitati: l’idea – chiarisce il ministro – è quella di trasferire la responsabilità dai singoli ai gruppi.

 

Andrée Ruth Shammah

 

La parola d’ordine è, ovviamente, trasparenza; ma ancora non viene chiarito come un simile auspicio possa diventare realtà concreta. Tra le buone intenzioni vanno menzionati anche la volontà di rendere più semplice l’accesso ai finanziamenti per le nuove compagnie e l’incentivo previsto per chi ospita artisti sotto i 35 anni. E ancora: la messa in rete dei circuiti regionali; l’apertura alle residenze; un incoraggiamento concreto all’internazionalizzazione e alla mobilità artistica.

 

Riforme radicali, allargamento di prospettive, necessità di un ripensamento ad ampio raggio: questo il messaggio che arriva forte e chiaro dal Ministero. E anche un cauto, ma deciso, segnale di ottimismo per quanto riguarda il reintegro del FUS con la legge di stabilità.
Non manca qualche aperta polemica – duro l’intervento dell’Assessore regionale Cappellini – e qualche latente perplessità: forse qualcuno ricorda il fermento e l’attesa del mondo culturale dopo la nomina e le promesse di Walter Veltroni (allora ministro e vicepresidente del governo Prodi), e teme che le cose possano concludersi in modo analogo.

 

Andrea Porcheddu

 

Ma per lo più si percepisce, da parte del pubblico di addetti ai lavori, l’incredula soddisfazione di poter discutere di prospettive future e linee guida faccia a faccia con un Ministro e la speranza di un cambiamento necessario e non più differibile.  L’ottanta per cento del teatro italiano – ha ricordato Andrea Porcheddu – non è inquadrato istituzionalmente, vive in uno stato di semi-clandestinità, non riconosciuto e non visto da un sistema impermeabile e distante. Ed è proprio su questo aspetto che l’intervento legislativo è particolarmente atteso: la speranza è che si riesca a superare, almeno in parte, la vertiginosa distanza tra la mappatura normativa e istituzionale e la realtà multiforme, affaticata ma vitale del teatro italiano.

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