Immagini di camminatori / Dimmi come cammini e ti dirò chi sei
Dimmi come cammini e ti dirò chi sei. Come ci ricorda Rebecca Solnit nella sua Storia del camminare (Bruno Mondadori), l’atto di camminare, per quanto meno necessario di respirare, mangiare e dormire – senza dei quali non potremmo neppure sopravvivere – costituisce tuttavia la vera esposizione di sé nel mondo.
Se n’era accorto Honoré de Balzac quando scriveva la sua Commedia umana, e nel 1832 diede alle stampe un piccolo gioiello: Teoria dell’andatura. Forse è da qui che bisogna partire per cercare di capire qualcosa dell’atto di camminare di personaggi come Mao e Stalin, Churchill e J. F. Kennedy, Madre Teresa e Gandhi.
Nel Museo Salvatore Ferragamo di Firenze, accanto a opere d’arte (mostra curata da Stefania Ricci e Sergio Risaliti, fino al 12 aprile 2015) e alle scarpe storiche dello stilista, sono visibili delle brevi clip che ritraggono la camminata di questi personaggi. Se l’andatura è la fisionomia del corpo, Mussolini vi appare impettito: testa alta, passo sicuro, circondato dai suoi gerarchi in divisa con stivali d’ordinanza, nel filmato dell’Istituto Luce veste di bianco e ha la paglietta in testa.
Avanza altero, spingendo la gamba in avanti. Non è, almeno qui, in questo film dell’Istituto Luce, molto marziale, come nelle più note sfilate a passo romano, oppure nella corsa con i gerarchi a fianco, quando vuole mostrare la verità del suo motto: “Se avanzo, seguitemi”. In realtà, Mussolini ricorda piuttosto un pinguino: corpo tozzo, tronco corto, per nulla proporzionato, come si vede nelle foto a torso nudo mentre trebbia il grano. Balzac sosteneva che sguardo, voce, respiro e andatura sono identici.
Mussolini che parla da Palazzo Venezia, enfatizzando i propri gesti, come chi ha imparato ad arringare le folle nell’epoca precedente l’amplificazione elettrica, sottolinea le parole, scandendole lentamente, in modo enfatico. La sua camminata, sempre eccessiva, ricorda il tono di voce. Al contrario, Adolf Hitler, ritratto in un film mentre passa in rassegna un plotone di soldati, appare più rilassato e sicuro di sé. Alza il braccio destro nel saluto (“Heil Hitler!”), mentre appoggia il sinistro alla vita, all’altezza del cinturone.
Cammina piano, ponderando il passo. Del resto, la sua forza risiede nella voce, penetrante e ipnotica, come l’ha definita Carl Gustav Jung, in una delle sue interviste (Adelphi), che lo paragonava a Mussolini e Stalin, definiti “capi villaggio”, due personalità schiacciate nel confronto con l’ex caporale austriaco diventato Führer del Terzo Reich. Stalin, avvolto nel suo cappotto militare, circondato dai dignitari, cammina divaricando i piedi, con un passo che si può definire a papera.
Il vestito è come un’armatura, e davanti alla camera da presa – ciascuno di questi politici sa di essere ripreso, per questo enfatizza la propria camminata – è sicuro di sé. Quasi un pontefice. Il capo dell’Unione Sovietica non appare molto versato in quella che Balzac chiamava “l’arte di sollevare il piede”. Cammina come un contadino, verrebbe da dire, che va in città. La camminata, se da un lato rivela la personalità, dall’altro mostra il contesto in cui si è cresciuti, i modelli culturali che si sono appresi. Per decifrare il “geroglifico dell’andatura” occorre perciò guardare a più aspetti. I nostri gesti, ha scritto l’antropologo Marcel Mauss, sono appresi, come i modi di mangiare, stare a tavola, lavorare, fare l’amore e dormire.
Non tutto è naturale in noi, neppure la camminata. Nel suo saggio sulle “tecniche del corpo”, lo studioso francese ricorda che ci sono popolazioni in Africa abituate a dormire camminando, cosa che gli era accaduto quando, fante nella Prima guerra mondiale, aveva camminato per molte ore in una marcia di spostamento. Ma per tornare ai politici, cui oggi guardiamo come un tempo si faceva con i re e i nobili, e più di recente con attori e attrici, si può dire che Churchill, uno dei grandi statisti del XX secolo, cammina come un borghese, seppure gettando il piede un po' più avanti, forse per via del contesto, la cerimonia cui è chiamato a partecipare.
Tiene il bastone nella mano, e alza il cappello in segno di saluto, gesto oggi quasi scomparso, ma usuale sino a quarant’anni fa. Incontrando persone conosciute, l’uomo sollevava leggermente il copricapo, un gesto di origine religiosa. La Thacher, primo ministro inglese, ha invece una camminata decisamente elegante, da sovrana, quasi più della stessa Regina Elisabetta, che in un video è mostrata mentre passa in rassegna una fila di anziani uomini in divisa rossa, membri di un ordine reale. Cammina lenta Queen Elisabeth, per via dell’età, mentre la piccolo-borghese Thacher, figlia di un bottegaio, appare più disinvolta. Effetto dell’età probabilmente.
Nessuno di questi personaggi sfarfalla mentre cammina, per dirla con Balzac: nessuno si agita mentre si muove. Sono tutti composti. Così è Mao Zedong, il capo cinese, fondatore della Cina popolare, simile a un maestro di scuola dal portamento leggermente curvo e passo cadenzato. Appare didattico: camminata sicura. J. F. Kennedy è anche lui, come Churchill, un borghese, ma molto più moderno. Non ha, come il leader inglese, dietro di sé i modelli nobiliari della Gran Bretagna.
Il presidente americano è un esempio di spigliatezza americana, da attore consumato: cammina rapido e sicuro entrando nella Stanza ovale della casa Bianca, dove l’attende il fratello Robert. Si muove spedito con la stessa naturalezza con cui si mostra in camicia, senza giacca, le maniche arrotolate: è l’informalità da star. Due figure circondate di sacralità, Madre Teresa di Calcutta e Mahatma Gandhi, appaiono diverse in tutto, a partire dalla camminata. Gandhi ha un passo leggero, quasi senza peso; lancia in avanti la gamba sinistra tenendo il piede aperto.
Madre Teresa somiglia più a una star musicale: almeno qui, mentre passa tra due ali di folla che vogliono toccarla, come accadeva ai santi, o ai Re Taumaturghi descritti da Marc Bloch. Per loro valeva la convinzione, derivata dalle storie di Gesù di Nazareth, che toccando il sovrano, o il santo, si otteneva la grazia. Cammina Madre Teresa con il capo piegato, curva, le gambe strette nel saio, passo veloce; sembra pregare tra sé e sé. Una forma di umiltà contrita, e decisamente costruita.
Papa Woytila, che santo lo è diventato davvero, è invece colto mentre cammina in salita sulla neve, con i Moon Boot indosso. Sembra uno degli astronauti scesi sulla superficie lunare. Come disse Amstrong, scendendo sulla superficie polverosa del nostro Satellite: “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”. Woytila possiede in ogni caso la ieraticità dei capi religiosi, un carisma che promana dalla sua persona fisica. Non bisogna dimenticarsi che in gioventù era stato un attore, cosa di cui non si è mai scordato, più o meno consapevolmente: incarna sino in fondo il suo personaggio anche negli atti di passeggiare, incedere, avanzare, camminare.
Mandela, altro leader carismatico, appare invece nei panni di un avvocato di Città del Capo, seppur di colore, nel suo muoversi in avanti. Ha assunto l’atteggiamento della borghesia bianca del suo paese. Martin Luther King, altro leader nero, scende le scale con un leggero movimento dinoccolato, quasi ci fosse in lui, pure così altero e conscio del suo ruolo pubblico, deciso a far valere con la voce e nei gesti la retorica dell’autorità morale, qualcosa di jazzistico: un movimento leggermente dinoccolato, da cantante. Fidel Castro possiede invece le pose del militare, non di carriera, quella del militare ribelle.
Alberto Arbasino nel suo recente e bellissimo Ritratti italiani (Adelphi), descrive Gianni Agnelli come un uomo che possedeva “l’allure e la verve di un sovrano settecentesco vivacissimo, e di un banchiere cosmopolita carismatico e seducente”. Secondo lo scrittore la sua fatuità apparente, che non sembra possedere nessuno di questi politici e leader, discendeva dagli insegnamenti ricevuti dal futuro capo della Fiat alla severissima Scuola Militare di Cavalleria a Pinerolo. Lì s’apprendeva a non mostrarsi ansiosi o preoccupati davanti a sottoufficiali o truppa; anzi, a ostentare disinvoltura e nonchalance di fronte a pericoli e dolori, o alla testa di reggimenti.
Una dote che possiedono in pochi tra i capi attuali, sebbene non sia scomparsa; oggi più frutto del caso che di un duro apprendimento. Il filosofo Schopenhauer ha scritto: “Ogni vero atto della volontà è immediatamente e ineluttabilmente un atto del corpo”. Come non dargli ragione vedendo queste immagini di camminatori?
Questo articolo è apparso precedentemente su “L’Espresso”.