Dizionario Manganelli 4. Recensore
“Io sono un recensore”, scrive Giorgio Manganelli in un articolo del 1978 intitolato Critici si diventa così, pubblicato sulle pagine de “L’Espresso”, di cui è stato collaboratore, testo che si legge nel volume Il rumore sottile della prosa (Adelphi, 1994). L’affermazione è sostanziata dall’innumerevoli raccolte di suoi scritti sparsi ora sistemati in due impeccabili edizioni curate da Salvatore Silvano Nigro: Concupiscenza libraria e Altre concupiscenze edite da Adelphi.
La seconda è uscita quest’anno e sono 227 pagine, mentre la precedente di due anni fa ne contiene 454 – e non è che una parte delle recensioni scritte dal Manga a partire dal 1946. Ma cos’è esattamente una recensione? La parola non è molto antica. Nel significato di “esame critico di un’opera nuova, con giudizio sul suo valore e pregio” appare nel 1873 usata da Carducci, che commenta la recensione del Carmagnola di Alessandro Manzoni fatta da Goethe.
La parola è tedesca, per quanto sia latina remotamente, e significa: “esaminare, considerare con attenzione”. Ora il titolo redazionale dell’articolo in cui Manganelli fa outing come recensore non è del tutto corretto, perché il Manga non è esattamente un critico letterario, bensì un recensore, e non solo per via della mole dei testi che ha scritto su giornali e riviste – lavoro di cui viveva –, ma perché lui critica letteraria in senso tradizionale non l’ha mai fatta. Se il critico è un mediatore tra l’autore e il lettore, Manganelli è entrambe le cose: è insieme autore e lettore. Mi spiego.
La recensione non è considerata un genere letterario di serie A; viene posta diversi gradini sotto la critica letteraria propriamente detta. Tuttavia per necessità, per il gusto d’essere un bastian contrario, per smentire i luoghi comuni e conformismi diffusi, Manganelli, di cui quest’anno cade il centenario della nascita, considerava il titolo di recensore un merito. La dimostrazione ha una data, il 1989, quando scoppia sulle pagine culturali dei giornali italiani una polemica sul “genere recensione”. Beniamino Placido sostiene a spada tratta che bisogna spiegare i libri di cui si scrive ai lettori, anche se trattano argomenti difficili.
Manganelli replica: “la volgarizzazione è impossibile ma necessaria”, e specifica che lui l’ama molto perché eccita la sua fantasia. Non a caso la parola chiave che Nigro ha posto come titolo dei due libri di recensioni del Manga è “concupiscenza” ricordando un passo dello scrittore compreso in Il rumore sottile della prosa: “La recensione è nell’insieme abbastanza onesta perché non muove grandi concupiscenze”. Ora il termine “concupiscenza” proviene dalla morale cristiana e indica un’inclinazione difficilmente controllabile a compiere il Male.
Chi legge questi due magnifici libri di recensioni si rende subito conto che non è il Male ad agire come una molla nel recensore, bensì la brama ardente e il desiderio appassionato. La carnalità sembra essere lo stimolo che muove l’autore di questi pezzi per altro spesso brevi. Per altro il Manga non aveva paura di essere breve o brevissimo là dove molti recensori attuali si lamentano degli spazi angusti per le recensioni citando Gadda, che paragonava la brevità dello scrivere a un cavallo che deve fare la pipì in un bicchiere. Carnalità in Manganelli significa molte cose.
Prima di tutto che la recensione è in prima persona, ma senza che l’Io dell’autore sia dominate. Niente narcisismo, per quanto le recensioni siano sempre dei racconti di esperienze personali di lettura. Sono “congiunzioni e disgiunzioni”, per dirla con Octavio Paz: rapporto carnale con il testo letto e di cui scrive. Racconto significa che è prima di tutto uno “scrittore di recensioni”. Ora, se anche la recensione è un genere letterario, di cui per altro non esiste una storia, a incarnarlo al meglio nella seconda metà del Novecento italiano sono proprio gli scrittori: Calvino, Sciascia, Pasolini, Arbasino, eccetera. Manganelli tra di loro è certamente il più “megalomane” anche quando si tratta di buttar giù due paginette.
Non è infatti questione di spazio, bensì d’atteggiamento. Nel suo caso si fonda sulla convinzione che la letteratura “non è una cosa seria”. L’opposto di Manganelli è Pier Paolo Pasolini, nato nel medesimo anno 1922, per cui la letteratura era cosa serissima: ne andava della sua vita. Forse non è un caso che i due non si tollerassero e si scambiassero pubblicamente colpi di sciabola. Tuttavia una cosa hanno in comune: la passione di scrivere recensioni. Descrizioni di descrizioni, uno dei più bei libri di Pasolini, si fonda sulla medesima idea che Manganelli ha dell’arte della recensione: fa parte della letteratura. Meglio: è “letteratura sulla letteratura” (Manganelli), di secondo livello.
Lo spiega bene il Manga: “un critico che non sa scrivere mi colma di desolazione”; il suo modello è Edmund Wilson, “uno straordinario scrittore di recensioni; spiritoso, leggero, rapido, mai appesantito da inutile dottrina; uno che si diverte a recensire”. Questo è il punto: Manganelli come Pasolini non ha una “dottrina”, ma sa benissimo cos’è la letteratura, lo sa in modo intuitivo e pratico, lo sa scrivendo recensioni e raccontando il suo personale rapporto con il libro che ha letto, un rapporto fisico e insieme metafisico.
Pier Paolo Pasolini è il perfetto esempio di recensore fisico; usa il suo corpo: magro, segaligno, muscoloso. Manganelli è invece pingue, grassottello e adiposo nello scrivere. Per lui poi l’arte della recensione “anche nei casi più virtuosi, è esente dal vizio della critica ufficiale; non pretende di aver sondato tutta la bibliografia, di conoscere lo ‘stato della questione’, non pretende di aver capito tutto quello che eventualmente c’era da capire”. Naturalmente il Manga mentiva spudoratamente perché aveva letto tutto quello che c’era da leggere, però non lo faceva mai pesare, ci giocava con i libri e le parole. In lui, che aveva cominciato come professore d’inglese, abitava uno spirito antiaccademico, la stessa libertà di pensiero e le medesime idiosincrasie del suo avversario, PPP.
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