La breve vita felice di Giovanni Cenacchi / Guida alle Dolomiti per escursionisti fuori rotta
Il libro Dolomiti cuore d’Europa. Guida letteraria per escursionisti fuori rotta, da poco pubblicato nelle edizioni Hoepli, raccoglie scritti editi e inediti di Giovanni Cenacchi, scrittore, giornalista, alpinista e fotografo, scomparso a quarantatré anni, il 17 agosto del 2006. Originale figura di intellettuale e di alpinista, riuniva finezza di letture e di scrittura a inconsuete abilità nell’arte della scalata e dell’esplorazione.
Le Dolomiti erano le montagne più amate da Cenacchi. Lui, bolognese nato quasi per caso a Cortina d’Ampezzo, aveva cercato per tutta la vita di scoprire e conoscere quelle montagne. Trascorreva le vacanze, da bambino e poi da adolescente, in un’antica casa nella frazione di Gilardon, ai margini della conca ampezzana, dove la sua famiglia e quella del cugino e amico Pier Paolo prendevano in affitto un appartamento. Avevano undici anni quando, in gita al rifugio Scoiattoli, Giovanni e Pier Paolo fecero la loro prima scalata sulle Cinque Torri. «Dove possiamo trovare una guida per questi ragazzi?» chiesero i genitori all’uomo taciturno dietro al bancone. Lui si tolse il grembiule. prese un paio di corde e guidò i due incerti e timorosi ragazzini sulla cima della Torre Grande. Seppero poi che quell’uomo rude e generoso era Lorenzo Lorenzi, uno dei più celebri e abili Scoiattoli di Cortina.
La vera svolta alpinistica arrivò alla fine degli anni Settanta, Giovanni e Pier Paolo misero in cantina gli scarponi, si comprarono scarpette leggere per l’arrampicata libera e si lanciarono sulle ripetizioni di famose scalate dolomitiche. Cenacchi, insieme alla maturità alpinistica, sviluppò anche una profonda conoscenza del territorio, improvvisando esplorazioni “fuori sentiero”. Seguendo il libro di Antonio Berti Dolomiti Orientali, storica guida della collana Guida dei Monti d’Italia, rintracciava sentieri meno conosciuti, difficili passaggi per cacciatori d’altri tempi, impervie forcelle, effimere cenge e cime secondarie. Amava anche la fotografia e, soprattutto nei mesi autunnali, cercava di fissare nelle immagini le emozioni che riversava nei suoi scritti: colori, silenzi, luci radenti. D’inverno, con sci e pelli di foca, sfruttando la sua profonda conoscenza del territorio riusciva a muoversi con sicurezza anche sui terreni innevati, dalle classiche gite scialpinistiche ai canalini più estremi.
Il suo approccio alla montagna era ad ampio raggio: arrampicata su roccia in falesia e in parete, speleologia, sci ed escursionismo esplorativo in tutte le stagioni. Attività alle quali faceva precedere e seguire letture di libri di montagna, memorie di scalatori del passato e lo studio meticoloso di guide e carte geografiche. Ma la sua biblioteca sconfinava nei generi più diversi, dalla poesia (Rainer Maria Rilke, Dino Campana), ai classici del pensiero e alla grande letteratura del Novecento (Karl Gustav Jung, Thomas Bernhard, Alexander Lernet-Holenia, Joseph Conrad, Rudyard Kipling, Thomas S. Eliot).
Seguendo suggestioni conradiane, che alimentavano il suo desiderio di esplorazione, nel 1984 Cenacchi raggiunse insieme ad alcuni amici le Baleari a bordo di una barca a vela. Nella selvaggia e disabitata isola di Es Vedrà riuscì ad aprire delle vie sulle pareti calcaree a picco sul mare. Sosteneva che alpinisti e marinai hanno molto in comune, e unire l’esplorazione orizzontale per mare a quella verticale per terra era quanto di meglio si potesse chiedere alla natura. Una delle citazioni più amate da Giovanni era di Thomas Stearns Eliot: “Continueremo a esplorare, e alla fine delle nostre esplorazioni ci troveremo al punto da cui siamo partiti e conosceremo il posto per la prima volta”.
Negli anni Ottanta Cenacchi cominciò a narrare le proprie esperienze in articoli pubblicati sulla “Rivista della montagna” diretta da Roberto Mantovani, soprattutto in occasione dell’uscita autunnale dello speciale “Roc”, dedicato all’arte dell’arrampicata su roccia, e sul mensile “Alp” diretto da Enrico Camannni prima, e da Marco Albino Ferrari poi. Nell’ottobre 1987, Cenacchi, oltre a un articolo in cui fece conoscere al grande pubblico Mauro Corona, ne scrisse un altro sui giovani scalatori di Cortina e le nuove palestre di roccia della valle. Il suo legame con l’alpinismo ampezzano gli consentì la stesura del libro dedicato agli Scoiattoli, la più famosa associazione alpinistica italiana, uscito nel luglio del 1989: Gli Scoiattoli di Cortina – Storia e memoria di 50 anni d’alpinismo ampezzano.
Chi scorre le pagine di Escursionista per caso a Cortina d’Ampezzo, pubblicato nel 1991, oltre a immergersi nelle bellezze dei luoghi descritti, scopre magnifiche foto di boschi e di montagne. “È una guida iniziatica delle Dolomiti Ampezzane scritta per essere letta e non solo consultata, un libro utile a orientarsi tra boschi e altipiani senza rinunciare al privilegio dello smarrimento poetico”. Un libro privo di mappe, con indicazioni topografiche appena accennate che si confondono a leggende, racconti e riflessioni, ricco di ironia e afflato poetico: “Qualunque pensiero abbiate con voi, l’Alpe di Fosses e quella di Sennes sono i posti migliori delle Dolomiti in cui possiate portarlo a spasso. È forse proprio il contrasto con il paesaggio consueto delle Dolomiti a moltiplicare l’emozione per questo deserto di prati e pietre. Stupiscono soprattutto il verde modulato in curve dolci e ampie fino all’orizzonte, il cielo vastissimo, i laghi e le rocce nitidi come gioielli, il vento che soffia inarrestato. Grazie a tanta apertura, che ci sia o meno bel tempo, sulle praterie di Sennes la luce è sempre forte, prevalente sul colore. Tale ampiezza, abbagliante nel cielo come sull’altopiano, provoca a volte un senso di smarrimento, di solitudine. E succede così che un posto in cui l’esterno è tanto nitido, presente, sappia paradossalmente facilitare una disposizione d’animo rivolta all’interiorità, all’intimità. I posti in cui si vede a perdita d’occhio – non è strano? – sono a volte quelli in cui più facilmente ci si smarrisce in se stessi”. Le fotografie sono spesso animate dalla presenza dei suoi più cari amici: Cenacchi era uno specialista della condivisione, amava coinvolgere gli amici nelle sue escursioni montane sia professionali sia di piacere.
Quando tra il 1992 e il 1993 Ermanno Olmi girò tra le montagne di Cortina il film Il segreto del bosco vecchio, tratto dall’omonimo libro di Dino Buzzati, il libraio Ilario Sovilla e suo figlio Franco, delle Nuove Edizioni Dolomiti, fecero incontrare il regista con Giovanni: ne nacque una stima reciproca e una forte sintonia, tanto che Olmi gli chiese di scrivere un difficile libro sulla sceneggiatura e sui fotogrammi del film. Il volume, intitolato Nel bosco Vecchio, uscì nell’agosto del 1993. Il film venne girato, in parte, nei boschi intorno al Passo Tre Croci, dove era stato allestito il set della casa del colonnello Sebastiano Procolo.
Nel 1994, Giovanni prese casa a San Candido in Val Pusteria, e iniziò un’accurata esplorazione “cenacchiana”, sia geografica sia antropologica, di quella porzione di montagne che lo portò a pubblicare nel 1998, con Zanichelli, un’ottima guida escursionistica, e non solo. In Dolomiti di Sesto e di Braies e dintorni, definì “divagazioni” l’esplorazione di ambienti poco noti e solitari, anche se non necessariamente difficili da raggiungere. Ancora una volta, Cenacchi ricorda il Lago di Fosses, negli altipiani sopra Ra Stua: uno specchio azzurro tra ampie distese di pascoli e rocce sovrastato dalla Remeda Rossa, il monte che pare un cane bassotto: “Divagazione molto consigliata”.
Cenacchi descrive gli ambienti naturali con un’abilità narrativa che va ben oltre le capacità descrittive necessarie per compilare una buona guida: “Tutti i lariceti hanno fama di grande bellezza, forse per quel loro congiungere il senso di intimità e di protezione del bosco a quello di ampiezza e di ariosità di un prato aperto. Protagonista principale del fascino di un lariceto è la luce che disegna al suolo corridoi verdi tra le ombre nitide e allungate dei tronchi. I ciuffi aghiformi dei larici godono di una particolare trasparenza: in primavera e d’estate la luce vi filtra in mille sfumature tra il verde acqua e lo smeraldo, mentre d’autunno, quando ingialliscono, s’accendono di fortissimi riflessi dorati. Il prato di larici all’inizio della Val Campo di Dentro, chiamato Gwengwiesen, aggiunge a questi elementi alcuni motivi propri di fascinazione. Il terreno, in leggero pendio, permette una vista d’insieme in cui i profili dei tronchi compongono prospettive ampie e profonde. I fienili, antiche e graziose casette di legno, sono disseminati sui prati, spesso fioriti, in accordo alla densità degli alberi. Tra i rami e oltre la cima dei larici, ad ogni apertura verso l’alto, il cielo s’accompagna alla figura alta e imponente delle piramidi rocciose dei Tre Scarperi”.
C’è un gruppo montuoso particolare che lega Cenacchi al mondo delle Dolomiti: le poco conosciute e meno frequentate Marmarole. Si tratta di un gruppo formato da vari circhi glaciali orientati verso nord, splendidi anfiteatri di roccia creati dallo scioglimento dei ghiacciai quaternari. Il più amato da Cenacchi è quello del Meduce di Fuori, un altipiano lontano e selvaggio, al quale si accede superando un secco dislivello di 1200 metri. Il Meduce è una conca di particolare bellezza, un ambiente naturale unico, con un solo elemento introdotto dall’uomo: il bivacco Musatti, di metallo rosso. Davanti agli occhi, cime maestose di roccia bianca e grigia, come il Campanile San Marco, la Pala di Meduce e la Cima Schiavina. Girando lo sguardo verso nord, si ammira un panorama esteso e profondo su Tre Cime, Cristallo, Tre Scarperi, Paterno, Cadini di Misurina. È questo il luogo elettivo di Cenacchi: sul Campanile San Marco, con diversi compagni di cordata, tra i quali Pier Paolo Rossi e Pietro Dal Prà, tracciò nuove vie, come L’Azzurro del cielo, dal titolo del libro di Georges Bataille. Qualcosa di Giovanni è ancora lì.
Nel 1998 Cenacchi scrisse la sceneggiatura del film-documentario I Cavalieri delle Vertigini, prodotto dalla Televisione Svizzera Italiana e diretto insieme a Fulvio Mariani e Gianluigi Quarti, che concorse nel 2000 al Trento Film Festival ottenendo il premio Genziana d’oro come miglior film di alpinismo. Narra la disputa, avvenuta nel 1959, per la prima direttissima alla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, tra una cordata di alpinisti elvetici e gli Scoiattoli di Cortina. Per la televisione svizzera realizzò servizi sui gulag siberiani citati in I racconti della Kolyma di Varlam Šalamov e sulla montagna sacra dei pellegrini irlandesi, Croagh Patrick. Nel 1999 la vita di Cenacchi cambiò: nacque la figlia Viola, e lui si adattò al nuovo arrivo, trascorrendo più tempo a casa. Marsupio anteriore e zainetto ergonomico posteriore, con Viola ancora piccola, si incamminava comunque per sentieri e mete lontane. Uno degli obiettivi era crescere la sua bambina nella natura e in montagna. Ma tra le montagne amate da Cenacchi non ci furono solo le Dolomiti. Fin da giovanissimo si dedicò anche agli Appennini: quello bolognese, il Tosco-emiliano e il Tosco-romagnolo. Percorse quei monti e quei boschi anche per raccontare il poeta Dino Campana. Il libro, I Monti Orfici di Dino Campana, pubblicato nel 2003, e riedito nel 2011, a metà tra il saggio critico e la guida narrativo-escursionistica, è forse la sua opera più compiuta. In quelle pagine cercò di approfondire i temi a lui cari, il rapporto tra scrittura e montagna e tra natura e letteratura del poeta, ripercorrendone i passi tra boschi di faggi e castagni, tra paesi di pietra e manoscritti dimenticati. “La poesia di Campana” racconta, “è una poesia del cammino, una poesia dei paesaggi che si svelano passo dopo passo al ritmo del cuore che batte e del respiro che reca nel petto la purezza, la bellezza, la solitudine delle montagne”.
Nell’estate 2003 Giovanni scoprì di essere gravemente malato. Venne operato, per qualche mese sperò di farcela e riprese così a camminare, a scalare e anche a sciare, con Viola e con gli amici più cari. Ma in breve il male dilagò in modo doloroso e definitivo.
Sino al 2005 continuò comunque ad andare in montagna, negli intervalli delle cure, ma con crescente fatica e difficoltà. Nel 2004 dedicò a Viola K2. Il prezzo della conquista. Nel libro, scritto nonostante la malattia e su impulso dell’amico Mauro Corona, al racconto dell’avventura si intreccia un’incalzante intervista a Lino Lacedelli, uno dei due conquistatori della grande montagna nel 1954. Rispetto alle decennali divergenze sullo svolgimento di quella scalata, Lacedelli diede per la prima volta ragione a Walter Bonatti. Cenacchi chiude il libro con queste parole: “Cari alpinisti del K2, se la verità sulla vostra spedizione è stata mancata anche in queste pagine, scrivetela in fretta. Siete vecchi e anche noi, vostri umili spettatori contemporanei, non stiamo più troppo bene. Scrivetela in fretta perché subito dopo i fatti, dopo la storia necessaria, ci piacerebbe sentirvi raccontare di quel cielo grandissimo, di quel posto così gelido e allo stesso tempo così forte e di come un ragazzo, undici ragazzi di montagna, si trovarono un giorno su una montagna più grande di quanto potessero immaginare. Portateci lassù. Raccontateci dei vostri passi, ricordateci i vostri pensieri, senza retorica e senza rancori”.
Nel 2006, proprio l’anno della sua scomparsa, sempre per Mondadori uscirono due libri firmati insieme al bolognese Mario Vianelli, fotografo, giornalista e scrittore, amico di vecchia data. Il primo è Teatri di Guerra sulle Dolomiti. 1915/1917: guida ai campi di battaglia, un lungo saggio storico che racconta le vicende della Grande Guerra, proponendo degli itinerari escursionistici in quell’epico e tragico teatro: qui riaffiora, a tratti, lo sguardo sul paesaggio dell’attento girovago di Escursionista per caso. L’ultimo suo libro, Cammino tra le ombre, pubblicato da Mondadori nel 2008, due anni dopo la morte, e ristampato da Quodlibet nel 2017, è un diario scritto mentre tentava di combattere una battaglia che sapeva durissima: “Sono un esploratore. Sono un alpinista. La curiosità in me è sempre stata più forte della paura; ho sempre avuto più paura della noia che della paura. […] tra un attimo saprò”.
Nel diario, scritto a mano e dattiloscritto con cura da sua madre Adriana, “Drilli”, annota tre anni di malattia in attesa dell’inevitabile. Il dolore di andarsene ancora giovane, lasciando la sua bambina Viola, lo porta a scrivere frasi prive di qualsiasi parvenza di consolazione: “Il mio ultimo pensiero è per te. Se una sola memoria, o coscienza mi resterà sarà per te. Cresci forte, certa dell’amore di tuo padre, la sua ultima energia fino all’ultimo”. Anche agli amici lascerà in un biglietto parole dense di coraggio e di affetto: “Siate bravi, siate forti, siate forti della vostra debolezza. Scrivete libri, fate film, costruite imperi nel deserto. Abbiamo fatto figli, schiacciato serpenti, costruito case. Queste sono le cose importanti. Abbiamo recitato bene. Siamo stati bravi. Non abbiamo nulla da recriminare. Ora mi resta solo da confrontarmi con Dio. Con la sua incommensurabile ingiustizia. Sapere se siamo polvere avvinghiata alla polvere. Oppure chissà. In bocca al lupo”.
Si può immaginare che il ricordo di certe arrampicate verso l’azzurro del cielo o di certe albe in cima a qualche montagna gli abbiano fatto compagnia negli ultimi giorni, come rimpianto e insieme conforto. “Anche dal fondo dell’orrore, non posso non ammettere che il mondo sia uno spettacolo meraviglioso. Un pomeriggio di pioggia su un pascolo in alta montagna. Luce a drappi e a festoni, a colonne e a statue; luce a fiammate, a fontane, in grumi, in polvere iridescente per le stanze del bosco”.