Due romanzi / Viet Thanh Nguyen. Niente e così sia

23 Marzo 2021

Si riemerge dalla lettura delle oltre mille pagine di Il simpatizzante (Neri Pozza, 2016) e Il Militante (Neri Pozza, 2021) di Viet Thanh Nguyen come da un viaggio esotico che, nel farci scoprire mondi nuovi, acuisce le nostre capacità di introspezione. Il protagonista, a metà tra un personaggio di Dostoevskij che ha visto Apocalipse now e uno di Quentin Tarantino che ha studiato filosofia, ci conduce in una storia dolorosa, implacabile come la lentezza delle torture che lui deve sopportare, nei due momenti clou dei due romanzi. Divorato da una sete di verità talmente estrema da non risparmiarsi nessun sacrificio per placarla, nemmeno quello di se stesso, il protagonista vive il suo delitto e castigo senza redenzione rivelandoci squarci di consapevolezza e di conoscenza, come succede nella migliore letteratura, che istruisce e attiva il pensiero quando sembra soltanto intrattenere. 

 

Alla ricerca del Vietnam perduto: c'è anche lo spazio per una "madeleine" nell'epopea di questo "bastardo", figlio di una vietnamita che lo ha partorito giovanissima e di un prete cattolico francese, che odia il padre che lo ha sempre rinnegato ma ama di un amore filiale straziante la madre, morta a trentaquattro anni nella sua povera capanna, mentre lui era lontano, a studiare in America. Ospite in una casa, consumando lentamente il Pho, la tradizionale zuppa vietnamita di carne, noodles e erbe aromatiche, il protagonista prova una sensazione di straniamento, che lo riporta "indietro nel tempo" e che risveglia in lui "il calore della cucina di mia madre" e lo costringe a interrompersi ogni tanto "per assaporare, insieme al brodo, il midollo della memoria". La cultura europea permea infatti questi romanzi, che non sembrerebbero scritti, per il background che esibiscono, da un naturalizzato americano di origine vietnamita, docente universitario a Los Angeles, autore di saggi su letteratura e politica in America e Asia e di Nothing Ever Dies: Vietnam and the memory of War, una riflessione su come scegliamo di ricordare e di dimenticare, che è anche uno dei temi di questi due libri.

 

La spy story alla Graham Greene (il protagonista è anche una spia, e lo scrittore britannico autore del Console Onorario fa capolino a pagina 84 del Simpatizzante, quando il protagonista ci fornisce un indizio, svelando il titolo della sua tesi di laurea, Miti e simboli nella narrativa di Graham Greene) è  sorretta da un'architettura di riferimenti culturali europei, così come appaiono citati dall'autore, coesa e sofisticata, che va da Jean Paul Sartre (L'essere e il nulla sarà cruciale nella scelta filosofica definitiva verso il "niente" del protagonista deluso) a Teodor W. Adorno, Walter Benjamin, Louis Althusser fino a Julia Kristeva, al nostro Gramsci (Lettere dal carcere) e perfino al Tiziano Terzani di Giai Pong!: la liberazione di Saigon. Le incursioni del protagonista nella cultura "alta", sapientemente mischiate a un plot incalzante, giocano sul registro della spy story contaminata da temi morali, mentre la cultura "bassa" è lo scenario irresistibile delle sue vicissitudini, dove un paio di scarpe "Bruno Magli" diventano il feticcio consumista che lo salverà da una orribile morte alla roulette russa. Il Capitano, così si chiama il protagonista nel Simpatizzante, diventa poi Vo Danh nel Militante, che significa letteralmente "senza nome": il simpatizzante comunista, mandato dal suo addestratore vietcong a studiare in America per imparare i segreti di quel popolo "in verità molto semplice", rientra in patria riuscendo a dissimulare il suo ruolo di spia. Stringe un vero e proprio "patto di sangue" con il suo amico di sempre, Bon, nel frattempo entrato nelle file degli agenti CIA, dopo aver assistito all'esecuzione del padre da parte dei vietcong. Bon, che perderà – estrema beffa del destino – anche la moglie e il figlioletto, falciati da un’esplosione al napalm mentre stavano raggiungendo l'aereo che li avrebbe portati in America, si darà da allora una sola e ossessiva missione: uccidere comunisti.

 

Il Capitano, il cui nome di battesimo è Joseph mentre il cognome, che alla fine dichiara (ma dicendo che è falso), è Nguyen (come quello dell'autore, in uno sdoppiamento che non riesce ad essere fuorviante: "Nguyen! Nguyen! Nguyen! Un nome che appartiene letteralmente a milioni di persone...") arriva a Parigi con la nuova identità di Vo Dahn (anonimo), perfetto per quel "niente" cui desidera finalmente consacrarsi, dopo una vita troppo piena di "tutto": in Vietnam è costretto a subire un percorso di rieducazione durante il quale viene torturato dal suo secondo fratello di sangue, Man, il suo addestratore, quello che lo aveva mandato a studiare in America e che ora, persuaso che le mollezze di quel paese lo abbiano corrotto, vuole indurlo a confessare la sua doppiezza di spia. Le ultime cinquanta pagine del Simpatizzante sono la descrizione delle torture che il Capitano deve sopportare per arrivare all'illuminazione che finalmente trova la risposta alla sua identità frammentata di bastardo, al vivere due vite, all'essere un uomo con due menti diverse, emblema della sua stessa patria, divisa tra Nord e Sud, consegnata in un eterno dualismo alle grandi potenze del capitalismo e del comunismo ("...io ero stato diviso da me stesso subito dopo essere venuto al mondo e scaraventato in una realtà nella quale nessuno mi accettava per ciò che ero e tutti mi costringevano con la forza a scegliere me contro me stesso" pag. 482). Questa illuminazione è la parola "niente", perché "è un segno di pazzia o di sanità mentale non credere in niente, come, a quanto pare, fanno tanti di noi?".

 

Cosa resta dell'avanzata dei Vietcong che conquistano il Nord? Perché l'America ha perso in Vietnam? "Ma la cosa più incredibile era pensare a quanti milioni di esseri umani massacrati avrebbero potuto essere salvati se tutti quelli che li avevano uccisi non avessero fatto... niente. Se un numero sufficiente di persone si fosse alzato in piedi o sdraiato a terra, a seconda delle circostanze, e avesse detto semplicemente di no, anche al prezzo della vita, ricorrendo a un atto di eroismo mondano, alla portata di tutti...". Nel Simpatizzante c'è la memorabile descrizione di un film di propaganda americana che si gira in quella terra lacerata, con la scena simbolica di uno stupro da parte di quattro vietcong: il nostro protagonista viene ingaggiato dalla produzione per procurare comparse, parlare nella loro lingua e, secondo Man, "sovvertire il film e tutto ciò che rappresentava", per far "uscire bene" i vietnamiti comunisti. Ma il Capitano non ce la fa, riuscendo a scontentare sia il suo addestratore, sia il regista americano. Durante la visione del film che si intitola Il Villaggio e che lui e Bon vedranno in un cinema di Bangkok in una delle loro peregrinazioni, scoprirà che il suo nome non appare nei titoli di coda, cancellato, eliminato, respinto nel nulla.

 

 

"Speriamo che almeno la Francia sia meglio dell'America" (pag. 16 del Militante), si dice il Capitano che approda a Parigi, con il manoscritto delle sue Confessioni alla Rousseau che nel campo di riabilitazione gli hanno fatto ricopiare più volte, dopo un viaggio drammatico tra "boat people", il nome che negli anni '70 si dava a coloro (prima migliaia, poi milioni) che lasciavano la loro terra in cerca di asilo. Si lascia alle spalle una vita tragica dove è stato spia e assassino, tormentato dal senso di colpa ("Vorrei un Colpa e Vergogna", dirà a un barista che gli aveva chiesto cosa volesse bere, e che, naturalmente, non conosce quel cocktail. E lui: "Dovrebbe sembrare acqua santa, ma avere un sapore infernale"). Con l'amico Bon trova ospitalità da una figura eccentrica che lui chiama "zia" (ma che, in realtà, è parente del terzo fratello di sangue Man). Senza tetto né legge diventa spacciatore, nell'ennesimo travestimento di una vita dilaniata alla ricerca di un'identità. Né vietnamita né americano né francese ma un po' di tutto questo, il Capitano-Vo Danh coltiva la memoria di sua madre che, essendo vietnamita ed essendo da lui devotamente amata, lo ricongiunge idealmente a quella che finisce per considerare, nonostante tutto, la sua vera patria. Le pagine dedicate a sua madre sono tra le più belle dei due libri e alludono forse a una nostalgia molto personale dell'autore, che lasciò il Vietnam con la famiglia quando era bambino, verso un capo profughi in Pennsylvania.

 

Se in America era solo con se stesso, "con le mie azioni e con il mio credo", a Parigi cerca di riconquistare l'integrità che sua madre, per consolarlo di essere un "bastardo" e spronarlo, cercava di restituirgli raddoppiata: "Tu non sei la metà di qualcosa, ma il doppio di tutto". L'ambiente "gauche caviar" dove viene catapultato (la "zia" è una editor e a casa sua si incontrano politici, scrittori, maoisti, un'affascinante avvocatessa lesbica che ha preso un cliente importante in Cambogia, Pol Pot; una sera perfino "un tipo brillante con le palpebre cadenti... scoprii solo in seguito che si trattava del drammaturgo Eugène Ionesco"), non lo aiuta ad affrancarsi dalla condanna che lo perseguita, quella di "essere Me e Me stesso", due personalità che di ogni individuo, di ogni cosa, di ogni avvenimento gli rivelano la doppiezza e l'ambiguità.

Ma l'illuminazione sul "niente" gli offre la via d'uscita. "Avendo assistito ai fallimenti del comunismo e dell'anticomunismo avevo scelto il nulla, una sintesi che né i capitalisti né i comunisti potevano comprendere", ma, ci tiene a precisare, non parla da nichilista (i nichilisti pensano che la vita sia priva di senso e rigettavano qualunque principio religioso o morale) mentre lui credeva ancora "nel principio della rivoluzione. Credevo anche che il nulla fosse pieno di significato - per farla breve, che il nulla era in realtà qualcosa. Non era anche questa una forma di rivoluzione?".

 

In una bella intervista rilasciata a Simone Pieranni e pubblicata su L'Espresso Viet Thanh Nguyen attira l'attenzione sul mai sopito desiderio di colonialismo che lui, con questi due libri, vuole ricordare, non soltanto sottolineando le responsabilità dei paesi invasori. Non ci sarebbe stato il colonialismo americano in Vietnam senza quello precedente francese. Sono due processi simbiotici che Nguyen stigmatizza, prima prendendosela con gli americani nel Simpatizzante, poi con i francesi nel Militante. E alla domanda se non crede che ora un nuovo colonialismo asiatico possa considerarsi una eventualità per l'Occidente, risponde che non pensa che vedremo mai gli asiatici dominare come hanno fatto europei e americani. Troppo razzisti gli europei per lasciarsi scalfire nella loro supposta superiorità, troppo ingenuamente convinti di fare il bene dei colonizzati, rendendo loro paternalisticamente accessibile l'"American Dream", gli americani. "Il sogno americano era così semplice e così ottimistico da non richiedere nessuna psicoanalisi e nessun approfondimento.

 

Era superficiale, noioso e venato di sentimentalismo come un brutto sceneggiato televisivo che si fosse misteriosamente trasformato in un successo" (Pag. 122 del Militante). Che dopo più di quarant'anni dalla fine della guerra nel Vietnam Nguyen abbia sentito il bisogno di scrivere questa storia, che somiglia molto a una espiazione per "interposto popolo", come se il protagonista assumesse su di sé la riparazione di una colpa collettiva (quella del "vietnamita amichevole", del "suddito grato al suo colonizzatore", pag. 277) mediante l'accettazione e la sopportazione delle pene cui soggiace con una vena masochistica e con il lavorìo incessante della sua mente sulle contraddizioni morali dell'essere umano, apre una discussione sul mito di una letteratura "liberal" e "multiculturale": che in realtà è fatta, come dice lo stesso Nguyen in un suo intervento pubblicato sul New York Times, al 95% da bianchi lontani dal "paese reale" e "costruita a tavolino nelle scuole di scrittura".

 

Eccentrica e interessante è la scelta di questo scrittore di affrontare temi complessi attraverso una letteratura "di genere" che mima nello stile i film di serie B, la black comedy e la crime story. Come se, per scrivere quest'opera che pone interrogativi così pesanti sulla supremazia bianca e svela l'ambigua eredità del colonialismo, ci fosse stato bisogno di agganciare l'attenzione dei lettori con un plot accattivante. Partire da un delitto individuale e da una storia di spie, per denunciare i crimini su scala globale di cui si rende a volte responsabile un popolo intero. L'insurrezione letteraria "militante" contro la guerra americana nel Vietnam, sopita da decenni, rivive con questi due sorprendenti romanzi, il primo giustamente insignito del Premio Pulitzer. 

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