Oggi al Circolo dei Lettori di Torino alle 18.30 / Stellati. Due gesti politici

31 Maggio 2018

Nelle attuali pratiche dei ristoranti più di tendenza è ormai canonico il gesto del cuoco che esce dal luogo segreto della cucina per darsi al suo pubblico. È il momento in cui, in sala, costui si pavoneggia fra i commensali, facendosi padrone di casa oltre che ideatore e produttore del menu, sostituendo la tradizionale figura del maître. Movimento analogo a quello dell’uomo politico che dal palcoscenico su cui a lungo è stato confinato, luogo separato e irraggiungibile dal quale darsi a vedere ma senza alcun contatto fisico concreto con gli elettori, scende nella sala del teatro – pirandellismo ormai stereotipo – e si mescola fra i suoi spettatori divenendo ‘uno di noi’, o meglio autorappresentandosi nella nuova, ripulita figura di ‘uno di noi’. È il politico ‘faccia nuova’, ormai affermatosi da tempo, che media fra le istanze della cosa pubblica e quelle dei privati cittadini, barattando le competenze giuridiche e amministrative che un tempo si richiedevano ai suoi colleghi in nome delle ‘esigenze reali’ della ‘gente comune’.

 

Analogamente dunque il cuoco che s’aggira fra i tavoli del suo locale, abbandonando il chiuso dei forni e dei fornelli, assume il ruolo di ‘uno come noi’, di un commensale fra gli altri che capisce i desideri dei suoi clienti e, fisicamente, si accosta loro per soddisfarli. In realtà, così facendo egli non fa altro che prendersi direttamente le lodi di chi ha assaggiato le sue creazioni, saltando quel “faccia i miei complimenti allo chef” che, ormai in modo caricaturale, a lungo i clienti rivolgevano al maître o al cameriere di turno. In un caso come nell’altro, si saltano le mediazioni, ma riaffermando paradossalmente le relazioni gerarchiche apparentemente annullate. Movimento analogo e complementare è quello del tavolo collocato direttamente in cucina, apparentemente in luogo angusto, maleodorante e rumoroso, in realtà zona d’elezione dove lo chef all’opera può emanare, come l’Uno di Plotino, la propria superiorità sugli astanti in adorazione.

 

Da una parte si riavvicinano le posizioni, in realtà se ne riafferma la lontananza. Non a caso molto spesso a decidere chi cenerà in cucina non è il cliente più o meno facoltoso che prenota per tempo, ma lo chef in persona, che addita colui il quale meglio di altri saprà apprezzarne i manicaretti.

Nelle pratiche attuali della ristorazione, rilanciate sistematicamente dai media, si dà però un secondo gesto, successivo e consequenziale al primo, col quale lo chef, ancora una volta come l’uomo politico, non solo raggiunge la sala ma addirittura esce dal ristorante e si aggira fra le vie della città, nei meandri del territorio. Lo fa, sappiamo, soprattutto grazie agli schermi televisivi che, raggiungendo un pubblico molto ampio, finiscono per neutralizzare ogni opposizione fra esterno e interno, mondo e teatro. Da cui Masterchef e i suoi numerosi avatar, nel caso della gastronomia, come anche, in quello della politica, le numerose figure di ‘punk’ o ‘buffoni’ che – attraversando in camper, se non a nuoto, il territorio – finiscono per conquistare le aule parlamentari. Anche qui c’è un movimento analogo e complementare, che è quello reso possibile, ed enormemente rilanciato, soprattutto dai cosiddetti nuovi media interattivi, da quel web 2.0 che non solo permette a tutti di parlare con tutti, senza direzionalità comunicativa precostituita, ma rende possibile a chiunque, nel caso specifico che ci riguarda, diventare chef, o quanto meno proporsi come tali. È il fenomeno dei food blogger che stanno progressivamente facendo le pulci ai grandi chef stellati, addirittura sostituendosi a essi – e non a caso andando a occupare quel posto ambito dinnanzi alle telecamere che sino a poco tempo solo a questi ultimi era assicurato. 

 

Ph Davide Luciano.


Assunta in un modo come nell’altro questa seconda posizione spaziale (né la cucina né la sala ma ‘la città’), per lo chef le cose cambiano di molto. Divenendo definitivamente chefstar, egli è sempre più star e sempre meno chef. Una sorta di opinion leader che, come a lungo è accaduto per uomini di spettacolo e cantanti, modelle e calciatori, può e deve dire la sua su qualsiasi cosa, trascendendo quell’universo della cucina da cui proviene e che, avendogli permesso di arrivare sin là, può adesso serenamente abbandonare. Non è difficile oggi imbattersi in cuochi a cui viene domandato non tanto e non più di parlare di cucina, ma semmai di intervenire sulla politica o sull’economia, sulla crisi finanziaria o sulle sorti del pianeta, sulle possibili strategie per riattivare la cultura o sui significati spirituali profondi del nuovo pontificato. A meno che non lo facciamo da soli e spontaneamente, senza interviste o altre apparizioni mediatiche di sorta. Così un cuoco come Massimo Bottura parla diffusamente e con ottima competenza d’arte e di filosofia, e non necessariamente in attinenza ai suoi menu. Analogamente, sempre in Italia, personaggi come Carlo Cracco possono dire la loro su qualsiasi fenomeno sociale e argomento culturale. Per non parlare in altre zone d’Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove un personaggio come Alice Waters non è soltanto una chef ma un’opinionista riconosciuta in tutto il paese.

 

Così oggi la gastronomia, diventata gastromania, fuoriesce dall’ambiente specifico del cibo e della cucina, e anche da quello della convivialità, per insinuarsi nel bene e nel male in molte altre sfere del sociale, comprese, per esempio, quelle che hanno a che fare con la malavita organizzata e la lotta nei suoi confronti. Troppo semplice additare l’essere effimero della moda gastronomica. Più interessante vedere se e come, caso per caso, la gastromania, prima di passare di moda, generi azioni e passioni fra la gente, rilanciando forme di comportamento e fondando sistemi di valori che esulano dal mondo della cucina e della buona tavola. Quando parliamo allora, senza mai perdere il sorriso sulle labbra, di degustazioni raffinate e mercatini biologici, chef stellati e menu al chilometro zero, sarà bene tenere a mente che stiamo discutendo, forse, anche del nostro futuro.

 

Gianfranco Marrone questa sera alle 18.30 sarà al Circolo dei Lettori per il ciclo Parole del contemporaneo, una parola al mese per decodificare il mondo.

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