Il metodo errante di Chiara Guidi
Bambini, attori, insegnanti. O anche: insegnanti, attori, bambini. Chiara Guidi lo ha chiamato “metodo errante”. È una creazione con i bambini in continuo movimento, che si fa forte del loro modo di esperire la realtà con l’azione e con la fiaba, che dal rapporto con un’opera artistica e con un’esperienza si irradia a mutare la relazione con gli insegnanti, con gli attori, con i bambini stessi. Almeno, così l’ho capito io.
Chiara Guidi, fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio e anima del festival “Puerilia”, al teatro Comandini di Cesena fino al 13 aprile, lo racconta così: “Il Metodo errante è un fermarsi a riflettere e a verbalizzare quello che è stato il teatro per l’infanzia della Raffaello Sanzio e il mio lavoro in relazione alla voce. Da quelle esperienze ho provato a dedurre un modo di operare applicabile a luoghi non d’arte, come la scuola”.
Luce e Buio: un’avventura
Per capire meglio, provo a raccontare La schiena di Arlecchino, lo spettacolo (o piuttosto azione o esperienza) presentato domenica scorsa. I bambini e, in questa recita pomeridiana per il festival, molti adulti aspettano fuori dal teatro che inizi lo spettacolo. Si comincia con una costernazione. Mentre una ragazza in nero sta per parlare e raccontare qualcosa intorno a una striscia di stoffa di tanti colori, una mano, da dentro, gliela ruba. La storia non può iniziare. Quando si bussa, per cercare spiegazioni, si viene accolti da secchiate d’acqua. Finalmente tutti, le attrici e il pubblico, riescono a entrare in una sala scura. C’è una tavola coperta di fiori e scatole di storie vuote. Ci sono ragazze in bianco che rappresentano la Luce, fatte prigioniere dal buio. Appare anche lei, con una bandiera, il Buio, ed è contrasto inconciliabile. Non esistono frontalità o altre posizioni spaziali definite, per gli attori, per il pubblico. Si è sorpresi da cose che muovono nello spazio in questa lotta senza esclusione di colpi tra Buio e Luce. Con flautini di richiamo da pifferaio di Hamelin i bambini sono risucchiati fuori, a guardare gli adulti da una vetrata. Poi tutti finiamo in un’altra sala, con un Arlecchino che cerca una conciliazione nei colori tra Buio e Luce contendenti…
Il bestione, Ph. Daniela Neri
La storia è essenziale ma non importante. Un foglietto consegnato all’uscita racconterà la favola che non siamo riusciti ad ascoltare, che narra di sei ciechi che toccarono un elefante in punti diversi e per uno era un ventaglio rugoso, per un altro una grande fune, per l’altro ancora... Le storie sono prismi: ognuno ne coglie una o più superfici, diverse da quelle che vedono gli altri. Qui ciò che conta è l’emozione delle sorprese, dei rovesciamenti di fronte, gli scontri, la scoperta di uno spazio misterioso. L’avventura. Un’emozione simile a quella del gioco, risolta poi in quella dialettica tra buio e luce senza prospettiva di soluzione, che vive fino alla fine di dicotomie.
Teatro infantile
Chiara Guidi, con i suoi compagni, lo chiamò nell’ormai lontano 1992 “teatro infantile”, rifiutando la formula corrente di “teatro per i ragazzi”. Oggi ci spiega:
“Infanzia sta per prima del linguaggio. Non è riferibile a una generazione, a una fase della vita, ma a tutti coloro che si pongono di fronte all’opera rinunciando a una conoscenza solo razionale, affidandosi alla sensazione che sfugge alla comprensione totale di quello che succede. Vuol dire anche fare esperienze non circoscrivibili in obiettivi definiti. L’arte è il luogo dell’imprevisto, della crisi, della meraviglia, della sospensione, della ricerca. Il teatro infantile impone di rendere tangibile la ricerca di fronte a sguardi che impongono di alzare la posta, perché sono abituati a giocare”.
Per innescare questo metodo errante è necessario allestire il teatro per i bambini:
“Bisogna preparare un posto – inerte, come le pagine di un libro. Il teatro è un’apparecchiatura spaziale e temporale che permette di far sorgere la figura. Sono i bambini a metterlo in moto con la loro presenza”.
Non solo guardare, frontalmente. Muoversi in uno spazio “preparato”. Modificare continuamente il punto di vista, e il coinvolgimento. Errare (che naturalmente vuol dire anche sottoporsi al rischio dell’“errore”). E qui ricorda il cammino percorso agli inizi con il teatro infantile, che ha prodotto spettacoli memorabili:
“Non appena abbiamo occupato la vecchia scuola tecnica di Cesena, il Comandini, che allora aveva spazi molto più estesi di quelli odierni del nostro teatro, abbiamo allestito le Favole di Esopo in modo itinerante (1992). Nelle molte stanze c’erano tanti animali, tra la paglia, un gregge di pecore, agnellini e maschere costruite con carta e cartone. Si incontrava la storia passeggiando. Questo raccontare Esopo con un gregge, portare gli animali in città, era una cosa anomala, che permetteva di sfondare le abitudini”.
Poi sono venuti Hänsel e Gretel (1993), il precipitare in un labirinto di abbandono e terrore fino alla salvezza finale, e Buchettino (1995), con gli spettatori raggomitolati in piccoli letti, ad ascoltare:
“Buchettino gira il mondo da venti anni. In agosto lo allestiscono a Seul. Ora stiamo pensando a un Jack e il fagiolo magico da fare in Australia: lo realizza una compagnia australiana con il nostro metodo”.
Dopo, oltre a altri lavori fantastici, come una Pelle d’asino che sprofondava in grotte ricavate sotto il pavimento del teatro scavato con una ruspa (1996), è venuta dal 1995 al 1998 la Scuola Sperimentale di Teatro Infantile, che teneva a distanza gli adulti, che si concentrava, grazie a una guida, sui materiali, sul confronto con una Figura, sull’azione. Scriveva Chiara Guidi (e lo riporta Lucia Amara in un bel libretto sul metodo errante, La capanna dei bambini, pubblicato dalla Socìetas):
“Stare chiusa con dei bambini… dove l’azione poteva essere solo teatrale… Non per essere consolati da loro o per goderne. Ma per entrare e toccare attraverso i bambini la fiaba, il racconto mitico, il teatro (o meglio una sorta di pre-teatro) e la genesi di un atto di creazione. Volevo che l’arte del gioco all’interno del confine fiabesco mettesse in atto un’esperienza d’arte”.
Richiama, Amara, lo ierofante dei Misteri Eleusini, colui che guida e mostra gli oggetti sacri nel rituale. E c’è questo bisogno essenziale in tutto il teatro della Raffaello Sanzio: di superare la rappresentazione per collegarsi con qualcosa di primario, il mito, la fiaba, per un’esperienza totale, di cui il teatro che ci è rimasto è solo un doloroso surrogato.
Il Metodo errante
Ha esplorato molte altre terre e cieli Chiara Guidi. La voce, per esempio, ancora in stretta connessione con la fiaba. Voce-sprofondamento, voce-esperienza, voce-suono, voce-strumento, voce-apertura. Ha creato varie favole, come Il bestione, che domanda ai bambini spettatori di farsi guerrieri, di correre lo spettacolo come un’avventura. E oggi è arrivata a definire il metodo che definisce errante.
“Errante perché chiede di raggiungere mete, ma in modo personale. Contrasta con il consumismo dell’arte. Si chiede: perché l’arte, l’esperienza artistica, è espulsa dalla scuola? Perché a scuola non sono consentite visioni personali? Abbiamo iniziato, in questa edizione di ‘Puerilia’, rivolgendoci agli insegnanti, interrogandoli su come si portano i bambini all’arte. L’arte è luogo imprevedibile. Chiediamo: come può questo luogo non istituzionale essere occasione per aprire il pensiero a un deragliamento, a una sospensione. I bambini invitano all’ascolto; portano un pensiero in cui avere fiducia. Non fanno mai perdere tempo. Questa stessa cosa vuole fare il metodo errante. Si interroga su come può l’arte suscitare la consapevolezza della necessità di una conoscenza non razionale. Che cosa genera se messa in condizione di essere ascoltata”.
Per questo in “Puerilia” ci sono vari tavoli di incontro e dialogo, tra pedagogisti, storici dell’arte, studiosi e artisti (tra gli altri, Andrea Canevaro, Massimo Recalcati, Stefano Chiodi). Ma si tengono anche incontri con gli insegnanti che portano i bambini a vedere i due spettacoli che si producono durante la rassegna, quasi improvvisando, con un gruppo di giovani attori e attrici, dal venerdì alla domenica, La schiena di Arlecchino e La terra dei lombrichi, domenica 6 (più l’esito di un laboratorio con gli studenti delle superiori, Jack e il fagiolo magico, il 13). Attori, insegnanti, bambini, oppure bambini, attori, insegnanti: il metodo combina diversamente i fattori, sperimentando relazioni.
“Lo spettacolo non è del tutto finito nel momento in cui debutta: si mette a punto nella repliche con le scuole, giorno per giorno, attraverso l’incontro con i bambini e la successiva riflessione con gli insegnanti”.
Su tre potenze contenute nel teatro, si interroga, il metodo:
“Il potere analogico della bellezza; il potere analfabetico della fantasia; il potere anacronistico dell’anima, in senso classico, perché permette di sperimentare anima e animus in condizione pratica, davanti all’opera d’arte, di cui non diamo chiavi di lettura”.
È sicura Chiara Guidi:
“L’arte può modificare l’apprendimento e diventare una forma di conoscenza senza scopo, senza utilità. E questo è un discorso difficile da far accettare a un insegante o a un pedagogista. Ma l’arte è valida indipendentemente da tutte le istruzioni per l’uso. Bisogna rivendicarne l’indipendenza, l’autonomia, proprio nel momento in cui è più necessaria per la società, per la pedagogia, per la politica”.