Il torbido del ricco: The White Lotus
The White Lotus per l’autore e regista Mike White è un brand globale di resort di lusso. Nella prima stagione la location era nelle Hawaii, che lui conosce benissimo perché abita lì; nella seconda stagione, che ha esordito su HBO (Sky in Italia) in ottobre 2021, ci siamo spostati in Sicilia, a Taormina. E la terza stagione? Ci sarà, forse saremo in Asia, come ha anticipato White: «La prima stagione ha messo in risalto i soldi, la seconda il sesso. Penso che la terza potrebbe offrire uno sguardo satirico e divertente sulla morte, la religione orientale e la spiritualità. Mi sembra che potrebbe essere materiale per un ricco arazzo da sfoggiare in un nuovo hotel White Lotus». Andremo in Thailandia?
La rovina del manager
White ha superato i cinquant’anni, ha una solida carriera a Hollywood come sceneggiatore di serie tv, ha vinto dieci Emmy Awards con la prima stagione, e la sua attrice preferita Jennifer Coolidge (la sua Tanya è l’unico personaggio che abbia avuto un ruolo centrale nelle due stagioni) ha vinto da poco un Golden Globe come migliore attrice non protagonista. Nelle interviste (al “Guardian”, al “New Yorker”…) si dichiara gay e dice di identificarsi con i personaggi gay che sono centrali nei due primi White Lotus: il manager del resort cinque stelle hawaiano è spassoso, in bilico tra comedy grottesca e thriller; ha il baffetto erettile, è totalmente mellifluo e succube con quasi tutti i suoi clienti ricconi, tirannico con l’esercito di dipendenti-schiavi indigeni, ma a un certo punto si incaponisce nel conflitto con l’insopportabile della stagione 1 (ce n’è un altro nella stagione 2); il trentenne sguaiatamente milionario con la sua mogliettina esasperata (Alexandra Daddario) si impunta su una prenotazione della suite di eccellenza, e tra i due si innesca una sfida infine mortale su chi la deve spuntare; il manager avvia un lento crollo fatto di provocazioni, non ha più pudore nel farsi beccare inchiodato davanti al suo Adone dipendente-amante, strafatto di coca…
Carnaio di coppie
A Taormina si intrecciano due giovani coppie di americani, collegate dall’amicizia dei due maschi nata al college e ora sopportata con crescente disagio dal nerd arricchito; le due coppie, una pacchianamente americana e un po’ volgare (sino a che lei si rivela cinica, fatalista, e liberamente immorale tra una distesa di ipocriti perbenisti), tutta “amore mio”, “sei stupenda”, “tesoro ti aspetto in camera”, l’altra invece vagamente intellettuale, con la moglie del nerd che è una giovane avvocata (Aubrey Plaza) inizialmente sbalordita e scandalizzata dagli altri due, infine stufa della dipendenza del marito dall’altro e persa nella sua vendicativa gelosia sessuale.
Questo quartetto è scritto da White con maestria: ricorda Carnage, la commedia teatrale di Yasmina Reza che Roman Polanski ha portato al cinema: là un banale accidente tra figli a scuola fa sgorgare crudeltà e odio, qui una stupida, “divertentissima” vacanza lussuosa sgretola tutte le facciate gaudenti, le coppie apparentemente OK, e fa trionfare nell’unica stima possibile i personaggi poveri, che lavorano con talento e trasparenza (la massaggiatrice olistica della prima stagione, le giovanissime siciliane che si arrabattano a spillar soldi come escort ai bavosi babbioni americani di mezza età: bravissime Beatrice Grannò e Simona Tabasco).
Povera Tanya!
Il motivetto composto da Cristobal Tapia de Veer per la sigla della prima stagione, una specie di ukulele vibrante e straniato, nella seconda stagione si distorce e si fa prima sinistro canto lirico e poi ritmo discotecante: ripetutamente White inquadra i cavalloni dell’Oceano Pacifico prima e del Mar Mediterraneo poi, una presenza pagana, possente, ipnotica che inesorabilmente rivela i personaggi al loro squallore. A Taormina le carrellate di White ripetutamente si fanno stregare dalle ceramiche che pullulano nel resort, le “teste di moro” ricoperte di agrumi o splendidi copricapi. Quel motivetto resta in testa, vibra e vibra e ti instilla il senso di demenza che White vuole far passare: è questo, essere ricchi? Spostarsi da una finzione ordinaria a una finzione straordinaria (le “vacanze”) sino a che l’ineluttabile, la Morte non ti fa capire che il gioco è finito?
Tanya muore alla fine della seconda stagione, con una grottesca caduta da foca giù dallo yacht della congrega di gay mafiosi che – lei capisce troppo tardi – la vogliono far fuori per ereditare la sua fortuna, visto che uno di loro, quello che si è sposato Tanya alla fine della prima stagione, è uno di loro. L’ha sposata per soldi! Anche lui è gay! La stanno tutti circuendo tra ville patrizie sgretolate, vini siciliani e mangiate pantagrueliche di pesce e crostacei. Tutto è una macabra giostra che imbambola lei, la bambolona oversize e sexy che è inorridita dal proprio invecchiare! Jennifer Coolidge in White Lotus ha davvero l’apoteosi della sua modesta carriera. Tanya però si riscatta poco prima di morire, prende una pistola e fa fuori il suo stallone mafioso, l’elegante inglese che l’ha ingannata, tutti quelli che le vengono a tiro sullo yacht. E poi annega. Povera Tanya! Così ricca! Così ingenua!
Gli altri riescono a tornare a casa, svelati a sé stessi. I personaggi anagraficamente giovani restano intrappolati nei loro destini, ma sono ancora consapevoli. Qualche loro petalo è ancora bianco. Ma il sontuoso fiore del loto – ecco il perché del brand scelto da Mike White – affonda le sue radici nel fango, sotto la superficie delle apparenze, e gli imprevisti intorbidano le acque.