Il Teatro Povero da 50 anni in scena / Notte di attesa a Monticchiello

4 Agosto 2016

L’ombra di un albero secco. L’ombra di un antico paiolo. Una scena in costruzione: un telo sul fondo nasconde le ombre di persone che appariranno per costruire un muro, per difendersi da minacce esterne che fanno paura.

Monticchiello si trova tra i campi bruciati e dorati della senese Val d’Orcia, poco dopo la rinascimentale Pienza, la città ideale di Pio II Piccolomini, oggi odorosa soprattutto di pecorino e di stanze in affitto. In questo piccolo borgo di origine medievale, da cinquant’anni un paese intero fa teatro. Un paese fatto di un centinaio di anime, che in estate o durante le feste si triplicano grazie a tutti quelli che tornano dalle città e agli altri che hanno eletto questo luogo a loro buon ritiro.

 

Il primo spettacolo, L'eroina di Monticchiello (1967)

 

Iniziarono a allestire spettacoli nel 1967, parlando di terra, di lotte dei mezzadri contro i padroni, ricordando la Resistenza e altri episodi di opposizione. Già dai primi anni il Teatro Povero di Monticchiello consolidò un metodo di lavoro originale, con spettacoli condivisi che affrontavano, secondo metodologie del teatro politico e brechtiano allora in voga, nodi della vita del paese: il rapporto tra passato e presente, tra società contadina e modernità, tra campagna e emigrazione. Aggiornandosi con gli anni, via via che il borgo diventava un luogo turistico.

 

(1991)

 

Mantenendo sempre viva la partecipazione: i copioni nascono in inverno, dopo lunghe discussioni, si precisano, si provano, con il concorso di persone di ogni età, uomini, donne anziani, maturi, giovani, adolescenti, bambini. Durante lo spettacolo si ascoltano voci dalle grane diverse, si vedono muoversi mani, volti, corpi che dichiarano, con le rughe, con l’impaccio o con la forza, con i toni profondi o squillanti le varie esperienze di vita, lunghe o brevi. Alla fine, sul palco, per gli applausi, si vede schierata un’intera tribù, una comunità che con il teatro si è ritrovata per ragionare, per sognare sul proprio modo di essere, di divenire, per provare a capire le direzioni verso cui muoversi nel futuro.

 

Notte di attesa © Emiliano Migliorucci

 

Notte di attesa si intitola lo spettacolo di quest’anno. Giorgio Strehler definì queste creazioni collettive “autodrammi”, giocando sulla parola psicodramma. Qui non si giocano ruoli per meglio capire la propria posizione psicologica, come appunto nello psicodramma: è un paese che mette in scena se stesso, con mezzi austeri ma suggestivi e efficaci, principalmente per analizzarsi e comprendersi, e si mostra a un pubblico ormai folto, giunto dai dintorni e non solo, per una quindicina di giorni, fino alle soglie di ferragosto.

 

Notte di attesa inizia quando si spengono le luci della piazza in discesa, e l’imbuto pieno di sedie rosse e di spettatori che si salutano, si riconoscono da un anno all’altro, tace. In quel momento, governato dall’alto da luminose stelle, questo teatro all’aperto rivela la sua vera natura. Dal fondo scuro, delimitato da un lato dalla chiesa, dall’altro da un elegante palazzo, sembra davvero che debbano prendere vita i fantasmi. Sembra di essere, in modo più sghembo, più contadino, nella via più piazza di una prospettiva rinascimentale, una di quelle scene disegnate secondo principi matematici dove si mostravano casi umani e le strade usate dall’ingegno, dall’abilità, dalla passione, dalla ragione per risolverli positivamente.

  Notte di attesa © Emiliano Migliorucci

 

Qui, quando le luci si accenderanno, appariranno prima l’ombra di quell’albero secco e di quell’antico paiolo, poi fantasmi umani che inizieranno a costruire effimere mura di cartone. Parleranno molto, disseminando solo dubbi, ipotesi, domande senza risposta, fino a estremi aggrovigliati, fino a cerebralismi da far invidia a Pirandello.

 

Notte di attesa © Emiliano Migliorucci

 

La paura è il soggetto di questa notte di veglia. Il timore di ciò che aggredisce un piccolo mondo dall’esterno, ma anche dall’interno, con il rimpianto degli atti sbagliati, delle occasioni perdute. Ritorna la nostalgia per un mondo agricolo più volte, negli anni passati, disegnato come una patria ideale, pur con tutte le sue ingiustizie, i suoi stenti e dolori, e la coscienza di attraversare una contemporaneità difficile.

Vecchi, giovani, persone mature si difendono con fragili mura dal silenzio e dal consumo del presente. Si rimpiange il momento storico in cui si abbandonò la terra, in cui si rinunciò alle lotte per la libertà dal padrone, per correre in città, iniziando a erodere una civiltà secolare, a trasformare il mondo contadino in un eden posticcio (forse) di agriturismi, bed & breakfast, cibi tipici. Intanto una ragazza continuamente telefona a un ufficio per conoscere l’esito di un concorso, senza ottenere mai risposta.

E poi c’è il mondo grande, intorno, una politica dove non si distingue più il bianco dal nero, un’economia che traballa, “i bombardamenti, i decreti attuativi, i faccendieri, gli amministratori delegati, le quotazioni di borsa, le alleanze politiche, il lato oscuro dell’Agenzia delle entrate...” Chiudersi, ritirarsi. Sentirsi sotto assedio, come nel passato, quando gli imperiali di Carlo V minacciavano la comunità (nel 2003 avevano dedicato un autodramma a quell’episodio, Passarà).

 

Passarà (2003) © Umberto Bindi

 

Fantasmi. Del passato e del presente. Si affacciano in continuazione, con la voglia di mollare tutto, con una proiezione sui muri di una scena della marcia delle scope ribelli nell’Apprendista stregone secondo Walt Disney. Fantasmatici sono stati i primi segni colti dal visitatore arrivando a Monticchiello in questi giorni. Dalla porta medievale di accesso al paese, e poi nella piazza e in altri punti sono sedute figure umane trasparenti, fatte di rete metallica, evanescenti presenze attraversabili dall’aria inventate dall’artista Daniela Capaccioli (si intitolano Memorie e vogliono raccontare, anche esse, lo spopolamento, lo svuotamento culturale, la smaterializzazione).

Ombre convengono in questa notte di attesa. La voce di chi ricorda le lotte di un tempo e il loro svuotarsi; quella di un “Idealista ambiguo” che suggerisce di sfruttare la paura, di trasformarla in risorsa, di offrire ai cittadini in ansia l’eden (artefatto) di tanti bei piccoli borghi medievali che ammettano solo chi butta via smartphone, giornali, televisioni, talk show e sia disposto a chiudersi dietro antiche mura difese da fossati e ponti levatoi. “Richiudiamoci in un nostro piccolo mondo… Difeso, protetto. Insonorizzato e disconnesso… Coltiveremo dei piccoli orti prestigiosi, finemente calibrati sui nostri caratteri, limpidi per sapori, per colori e per… Per profumi. Questa paura… Questa paura noi dobbiamo scenografarla” (cito dal testo che viene distribuito durante le recite degli spettacoli, firmati “autodramma della gente di Monticchiello”, ma coordinati da Andrea Cresti). Qualcuno è subito pronto a fare i conti di quante stanze a quanti euro l’una a quanti euro al giorno e all’anno potrebbe fruttare questo nuovo medioevo…

 

Notte di attesa © Emiliano Migliorucci

 

E via con le dialettiche, che tagliano il capello in quattro, che tirano in ballo molti argomenti, aprono troppi fili, in un procedimento che ritorna sempre agli stessi punti dopo diversioni, dilazioni, in uno spettacolo forse sovrabbondate, ma alla fine ossessivamente centrato.

I muri sono costruiti. Appare una città merlata. Di cartone. Anche in passato però difendersi, dopo le lotte per la terra, dopo la fine della mezzadria, non è servito. Gli uomini, le donne sono stati ridotti a numeri… Poi sono tornati a chiamarsi per nome, per dare una gioia al futuro...

Siamo in un vicolo cieco. Sembra non se ne debba uscire. Sarà solo il teatro a suggerire la soluzione. Questo Teatro Povero ricrea, inventa forti legami sociali, in un viaggio durato mezzo secolo ricordato quest’anno con una mostra di materiali storici e con un convegno multidisciplinare che si terrà in ottobre.

 

Notte di attesa © Emiliano Migliorucci

 

Suona una banda. Cadono i teli dei lavori in corso. Si sgretolano i fragili muri. Appaiono tre magici condottieri antichi, teatrali, che porteranno il popolo all’aperto, nelle nuove battaglie contro gli imperiali di oggi. Recitano con voci impostate, d’altri tempi, dense, in quel campo di battaglia sotto le stelle che ha unito tanta gente, per tanti mesi, per tanti anni. Il teatro, questo luogo di interrogazione e volo della fantasia, labirinto del sacrificio e danza di liberazione, bosco sacro dove dai la caccia e sei cacciato, caverna delle apparizioni che entrano dentro di te, profonde, il teatro, rappresentato per cinquant’anni in questa stralunata prospettiva antica di piazza medievale, è la battaglia collettiva contro i mostri della paura. Dalle finestre di un palazzo di cartone b.ambini con le facce serie, dolcemente sognanti, intenti stanno a guardare giorni che possono solo immaginare. Applausi.

 

Notte di attesa si può vedere a Monticchiello fino al 14 agosto. Per informazioni e prenotazioni leggere qui.

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