Speciale
Occhio rotondo 31. Plaid
Il letto è fotografato di sbieco e si scorge appena. Di lato un mobile. Non si capisce bene se è una sedia o piuttosto un inginocchiatoio, o altro ancora. Sulla parete quattro immagini sacre: negli ovali Gesù e Maria; poi un quadretto con entrambi e quindi una croce con Gesù bambino; sotto appesa a una catenella una conchiglia dei pellegrini del cammino di Santiago de Compostela. Siamo nella camera di un seminarista e la foto l’ha scattata nel collegio Vescovile di Pavia, anno 2008, Andy Rocchelli, un giovane fotografo morto tragicamente in Ucraina nel maggio del 2014, uno dei più bravi tra i fotoreporter delle nuove generazioni.
Ad attirarmi, oltre al taglio dell’immagine e all’ambiente così minimalista, tanto da ricordare la cella di un monaco o la camera da letto d’un artista monacale come Giorgio Morandi (la sua casa a Grizzana), è il plaid che si intravede sul letto. Ne ho ereditato dai miei genitori uno identico. Il plaid è una coperta di lana di origine scozzese. Più piccolo di una vera e propria coperta, fungeva spesso da scialle e aveva, e ancora ha, disegni a grandi riquadri e a colori vivaci. Un mantello dei montanari di quella parte dell’Isola lungo non più di tre braccia portato al posto del mantello, poi diventato una coperta da viaggio, com’è scritto in una voce di enciclopedia. Si usava in treno, quando i riscaldamenti non funzionavano troppo bene, ma anche nelle automobili negli anni Cinquanta, quando viaggiare era ancora un’avventura.
Mio padre ne aveva almeno un paio e uno, identico a quello posseduto dal seminarista, è arrivato sino a me. Nella foto di Andy Rocchelli, che ha dedicato una serie di scatti agli aspiranti sacerdoti del seminario – servono almeno 5 anni di vita comune in quel luogo per diventare prete –, non si capisce se il plaid serve come rimbocco o invece è la coperta stessa del giaciglio. Ho sempre creduto che il plaid fosse come un’aggiunta, qualcosa da portarsi dietro per ogni evenienza, da mettere addosso in montagna quando c’è troppo freddo o da stendere su un prato nei mesi estivi per sdraiarsi all’aperto, o ancora come coperta mentre ci si corica sul divano in una giornata con una temperatura rigida.
Mi faceva pensare anche alla copertina di Linus, l’oggetto transizionale, come lo definiscono gli psicologi, che il personaggio dei Peanuts porta con sé quale difesa preventiva contro i possibili disagi d’ordine psicologico. Un oggetto apotropaico, che appartiene al pensiero magico che noi tutti – chi più chi meno – pratichiamo. La coperta scozzese a riquadri è però molto di più, stando anche a quello che racconta un libro dedicato al commercio delle lane nella regione del Nord della Gran Bretagna: motivi dei clan scozzesi, abiti e altro ancora.
A mio padre era capitato di restare bloccato in una grande tempesta di neve in Abruzzo con l’automobile e il plaid gli era servito per passare alla meno peggio la notte all’addiaccio. Ricordo che nella sua automobile, con cui attraversava l’Italia, aveva in dotazione anche una piccola pala per cavarsela con la pioggia, la neve e il fango.
La fotografia di Rocchelli, che è inclusa in un piccolo ma importante volume (Il valore della testimonianza, testi di Mario Calabresi e Michele Smargiassi, Contrasto), trasmette l’idea d’una sorta di pudore. Nel ritrarre il letto del seminarista, che si vede solo nel taglio basso dell’immagine, ha evidenziato l’essenzialità del luogo. Un pezzo del plaid che ho riconosciuto e il cuscino e un tratto della testiera. A Rocchelli interessava probabilmente di più la sequenza delle immagini sul muro, questo piccolo altare e il bianco-grigio della parete. Evocano insieme una sorta di solitudine necessaria, quella che serve per concentrarsi sulla propria ricerca interiore. Ma anche la volontà di definire la propria famiglia spirituale, le icone cui ci si rivolge forse in un dialogo muto nella stanza in cui si dorme.
Il plaid è legato al sonno e forse anche al sogno. Come si sogna bene sotto quel tessuto di lana che ci ricopre come una carezza materna, protettiva e calda! Quante volte abbiamo aperto la coperta e lo abbiamo tirato sino alle spalle, anche se per la sua dimensione limitata – è uno scialle in effetti – non ci si sta larghi sotto quel vello protettivo, quella piccola pelliccia portatile! Chi ha posseduto o ancora possiede un plaid può raccontare qualcosa al riguardo, proprio come il seminarista sconosciuto di quella camera. L’avrà anche lui ricevuto dai suoi genitori nel momento in cui ha abbandonato la casa paterna e materna per consacrarsi a Gesù e Maria? Dove sarà adesso e che ne è stato della sua coperta a scacchi gialli, rossi e verdi?
Mario Calabresi cita una frase della madre di Andy riguardante il modo di fotografare del figlio: un rapporto di confidenza con i suoi soggetti. Anche questa immagine trasmette qualcosa del genere insieme alla sua costumanza nel ritrarre la stanza. “Confidenza” è una parola che significa “avere fiducia”, ma anche “rivelare i propri segreti”, come si apprende da un libro del XIV secolo, Leggende di Santi. Questo ci ho visto nel ritratto senza persone che Andy ha scattato quel giorno del 2008.
Andy Rocchelli, Seminaristi e sacerdoti, momenti e ambienti della comunità del Seeminario Vescovile di Pavia, 2008, © Andy Rocchelli / Cesura
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