Speciale

Occhio rotondo 43. Scale

24 Novembre 2024

Che cosa mi colpisce ogni volta che rivedo questa foto di Henri Cartier-Bresson? Le persone che ci sono a partire dalla bambina in primo piano che sembra voler uscire dalla fotografia salendo delle scale? La donna e l’altra bambina più piccola dietro o le donne che s’affacciano sull’uscio delle tre porte al piano terra? O forse è il selciato di pietra simile a un patchwork? Oppure la strana geometria di questo spazio concavo verso il basso che di colpo si erge verso la parte alta dell’immagine? Certo tutto questo, ma prima ancora sono le tre scale che mi attirano, tre architetture povere eppure così scandite e sicure che ascendono verso l’alto. Due affiancate e una invece sola. Le tre scale e le tre porte: una spalancata a sinistra, una bianca a destra e a fianco la più misera: due pezzi o tre pezzi di legno grezzo e vecchio a chiudere il vano. Il tutto ha la forma di un piccolo anfiteatro; meglio: d’una quinta teatrale. Sono anche le dimensioni di questo spazio che sembra entrato per miracolo nello scatto del grande fotografo francese. 

È il 1951 e le case con le scale e il piazzale si trovano a Matera. In quell’anno Cartier-Bresson è al suo secondo viaggio in Italia, come racconta la bellissima mostra Henri Cartier-Bresson e l’Italia (Dario Cimorelli Editore) aperta sino al 26 gennaio a Palazzo Roverella di Rovigo, a cura di Clément Chéroux e Walter Guadagnini. Sono cinque i viaggi compiuti dal fotografo dal 1932 al 1971. Carmela Biscaglia racconta l’importanza di questa esplorazione e di quella successiva in Lucania in un saggio del catalogo che circostanzia l’interesse per questo luogo del Sud sulle tracce di Carlo Levi conosciuto già da tempo dal fotografo francese, un pezzo della storia del Meridione, degli intellettuali e dei fotografi che si erano recati in questi paesi nel secondo dopoguerra (Federico Patellani, Franco Pinna, Arturo Zavattini, Fosco Maraini, Ernst Haas e David Seymour). Il tema è quello dell’utopia politica che questi cacciatori di immagini e gli scrittori e poeti come Scotellaro e Carlo Levi avevano in mente in quel decennio che precede l’esplosione del boom economico, della grande trasformazione italiana che non sanerà la situazione del Sud. Ma non è di questo che voglio parlare, piuttosto di questa incredibile fotografia. Guardandola da vicino e poi da lontano, e di nuovo da vicino, per cercare di capire cosa mi colpisce e affascina di questa fotografia, forse sono in grado dirlo. Non il documento sociale, pure presente, non il contesto abitativo, certo anche quello, ma proprio la dimensione spaziale. Se ci si allontana quello che colpisce è l’architettura: le case, le finestre, le tre scale.

Il punto di vista scelto da Cartier-Bresson è in alto. Ha scattato la foto da distante riuscendo a tenere a fuoco l’intera scena. Se mi avvicino vedo bene tutti i personaggi di questo presepio senza Bambin Gesù; arrivo fino a scorgere i loro profili, quasi le loro espressioni. Se mi allontano capisco che a dare profondità a questo spazio sono proprio le tre scale che convergono verso un punto ideale che coincide con la bambina in primo piano. Accortamente Cartier-Bresson non l’ha inclusa tutta intera nello scatto: la si vede per metà e grazie al movimento delle mani si capisce che sta salendo: si trova più in basso del fotografo, ma più in alto degli altri personaggi. La donna e le due bambine sono sotto, quasi nel punto più basso di quel catino – in realtà il punto più basso è sulla sinistra ma lo si vede appena. Dietro a tutto le case coronate dall’elemento decorativo a scala che funge da tetto, e dietro ancora i camini. Tutto sembra fermo, non solo in senso meccanico, ma anche sociale e persino storico: sono case antiche, forse persino remote. Queste si protendono verso di noi. Insomma, Cartier-Bresson qui ha interpretato perfettamente lo spazio urbano italiano con la sua vocazione teatrale. 

Guardando le immagini esposte a Rovigo si capisce che lui è un grande fotografo di piazze. La stessa immagine scelta per la copertina del catalogo, e per pubblicizzare l’esposizione, mostra un gruppo di bambini che corrono a Siena nella Piazza del Campo con le braccia distese, ma poi ci sono le piazze e le strade di Roma a testimoniare il senso dello spazio pubblico colto dal fotografo francese. E una delle sue foto giustamente più famose, scattata a Scanno si svolge nell’area d’una piazza, uno spazio articolato, non piatto, dal momento che Cartier-Bresson si è messo anche qui in alto per cogliere le donne nerovestite che recano al forno i tavolieri di pizze: la scalinata, il selciato davanti alla chiesa e più in basso, verso sinistra, il gruppo di uomini col tabarro, fino a mostrare là in fondo, in lontananza, le colline circostanti Scanno. Fotografo dello spazio Cartier-Bresson a un tempo lo amplia e lo restringe in modo da imprimere un movimento alla scena teatrale: le donne e le bambine davanti al portone della chiesa, le figurine maschili più sotto. E anche qui c’è qualcosa che circoscrive la scena e fornisce quasi senza apparire il senso della profondità: l’inferriata sulla destra. 

La prima volta che si guarda la foto, non si coglie subito il corrimano a destra e la cancellata, e neppure il ferro che parte da lì e attraversa la fotografia andando in alto a sinistra. Quante cose e azioni in questo piccolo rettangolo. Al fotografo interessa il movimento, ma è un movimento fermo. Ha costruito una scenografia e l’ha congelata per sempre, in modo che noi possiamo perderci a guardarla e a fare le nostre supposizioni. La sua capacità non è quella di miniaturizzare, ma di moltiplicare. Credo che anche le tre scale della prima foto da cui sono partito servano a questo, un po’ come l’uomo che salta la pozzanghera nella sua celebre foto intitolata Dietro la Gare Saint Lazare del 1932, che è servita a diffondere il verbo del “cogli l’attimo”. Tutto a caso, tutto studiato, il movimento e il suo contrario.

Henri Cartier-Bresson, Matera, 1951© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

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