Antigone e i suoi fratelli

18 Febbraio 2023

Cosa ci resta del passato? i testi classici e le pietre, ma anche i paesaggi, l’acqua e l’aria. Tutto tende a sparire, e al tempo stesso nulla può scomparire perché se esiste, se è venuto al mondo, lascia tracce. Una lettera, un articolo, un bagno abusivo costruito nel centro di una città antica. È se mai il silenzio che nasconde le cose a essere gravido di non detto e da lì, come a Gerusalemme o Pompei, o da un’epoca che appariva trascorsa, le cose nascono, non muoiono, trasformano continuamente il nostro tempo. 

Il silenzio alla prima uscita di Se questo è un uomo (1947) e la sua graduale affermazione che inizia con la pubblicazione da Einaudi nel 1958, è stata un’assenza di questo tipo ed è molto eloquente. Ricorrendo al secondo momento del trauma descritto da Freud, fra l’evento traumatico e la sua manifestazione trascorre un periodo di latenza in cui il trauma si iscrive in modo profondo in un individuo, elabora le sue allegorie sintomatiche. E qui possiamo aggiungere che, come ogni individuo, così fa ogni società. Troppo dolore perché l’Italia uscita dalla guerra potesse provare a leggersi e capire. La reazione di Cesare Pavese e Natalia Ginzburg che respingono il libro di Primo Levi è comprensibilissima, reagiscono con tutta la società italiana. Troppe storie di questo tipo, sappiamo troppo, non possiamo guardare. E pensare che il dolore della seconda guerra mondiale dura in Italia poco più di un anno e mezzo! Per il resto, spaesata e passiva, l’Italia ha abitato molti anni del fascismo e persino i primi anni di guerra come la Vispa Teresa, senza accorgersi eccessivamente di cosa accadeva, di chi finiva al confino o dell’omicidio Matteotti. È con la guerra civile che si scatena dopo l’8 settembre del 1943 che si diffondono le ferite fratricide.  

Così il dolore che riaffiora alla fine degli anni ’60, con le stragi della destra e gli omicidi delle Brigate Rosse, e che dura oltre un decennio, e che in parte è la continuazione di quella guerra, sia negli schieramenti ideologici che in una continuità logistica e strategica, cade poi in un silenzio che assomiglia per tanti aspetti al modo in cui il fascismo aveva a sua volta messo a tacere le ferite della prima guerra mondiale. E prima ancora di un secolo come l’ottocento, in cui l’Italia è stata attraversata da altre guerre risorgimentali e fratricide, che opponevano il mondo cattolico e conservatore al progetto unitario. Anticlericale, spesso massone, sponsorizzato soprattutto dagli inglesi, e comunque il meglio che si riuscì a mettere in piedi in quell’epoca, tanto che vi aderirono Foscolo, Manzoni, Leopardi, tutti i nostri maggiori scrittori. A loro volta, come Manzoni, attraversati da intenzioni così contraddittorie, giacobine e cattoliche, di attenzione alla società e di aristocratici isolamenti.

Il silenzio che segue i periodi sanguinosi che nella storia della nostra penisola sono ricorrenti, è il tentativo di ricostruire una qualche normalità pacifica. Monaldo Leopardi lamentandosi del figlio Giacomo scrive che “vorrebbe dormire i suoi sonni tranquilli!”. Come questa normalità cerchi di riemergere nel dopoguerra viene ritratto molto bene in Esterno notte di Marco Bellocchio, quando ricostruisce la casa dove abita la famiglia Moro. Sono appartamenti molto simili a quelli di oggi: qualche camera da letto, un tinello, una cucina, un bagno.

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Se la famiglia è cattolica un crocefisso o qualche altra immagine sacra sopra il letto matrimoniale, ma quello che veramente accomuna tutti gli appartamenti, come sono costruiti e concepiti, è un’ambizione all’igiene che ha degli aspetti profondamente suggestivi: tra le traduzioni che ho fatto per campare quand’ero più giovane, ho incrociato un’indagine di mercato sul colore delle pastiglie che si sciolgono quando viene tirata l’acqua del cesso. Rosa? Azzurre? E perché? Per separarci dalla merda? Per scongiurare associazioni con il sangue? 

In questi appartamenti a volte in ingresso c’erano le pattine, cioè pantofole di lana che venivano date a chi entrava perché contribuisse strisciando i piedi per la casa a lucidare i pavimenti tirati a cera. In generale regnava ovunque un’idea dell’ordine in casa che rifletteva un’ambizione all’ordine nelle piazze, dove erano stati fucilati partigiani, appesi Mussolini e la Petacci, dove è stato trovato il cadavere di Moro, le piazze degli scontri che incendiano Reggio Emilia dove il 7 luglio del 1960 vengono uccisi cinque operai iscritti al PCI in giorni drammatici che alla fine faranno 11 morti e centinaia di feriti.

La città dove Eteocle e Polinice si sono uccisi l’un l’altro e dove Creonte si sforza di riportare ordine. Ma c’è Antigone, che con la sua persona inesorabile si oppone alla legge del potere statale e testimonia la pietà per la morte fratricida del cui sangue la città è ancora gravida. 

Una magnifica resa di questa vicenda, Antigone e i suoi fratelli, che mette insieme Le fenicie di Euripide e Antigone di Sofocle, è stata messa in scena a Moncalieri nelle scorse settimane dal PEM, con la regia di Gabriele Vacis. Gli attori (e in parte autori della riscrittura) hanno l’età dei giovani eroi del ciclo tebano, coetanei dei figli di Edipo: Ismene, Eteocle, Polinice, Antigone. E come loro sentono sulle spalle un passato gravido di sangue nella storia: gli anni ’70, i campi di sterminio, lo stesso peso della guerra di oggi in Ucraina, la repressione in Iran, la razzializzazione dei conflitti sociali in America o in Cina, le repressioni interne russe, e di altre, innumerevoli rivolte e repressioni in giro per il pianeta. Tutte fratricide, perché noi umani siamo tutti fratelli. Anche quando con uniformi diverse ci si spara gli uni contro gli altri. Il dolore di fronte agli animali che consegniamo ai mattatoi, al pianeta che brucia e gela. Antigone parla per tutti noi, per i vent’anni che da qualche parte, nell’ordine che abbiamo cercato di imporre all’appartamento lucidando ogni rubinetto, mettendo a tacere ogni granello di polvere, vietando come in Iran i baci in pubblico o ordinando uno sterminio di cani, ancora chiede: ma è giusto? La legge degli uomini può mai davvero lavare il sangue, che penetra invece a fondo, in legami familiari che riguardano tutti e dove, nella tragedia greca, davvero si toccano la storia e il mito?

Il trauma è insopportabile. Come hanno potuto i fascisti orchestrati da Licio Gelli, che si richiamavano ideologicamente al nazionalismo e quindi al populismo del PNF, riempire di bombe le piazze, i treni, le banche dove andavano italiani che non aderivano a nessuna ideologia particolare? O i brigatisti che aggredivano lo stato, a loro volta imbevuti di un’utopia statalista che nel marxismo dovrebbe sostituire il capitalismo? Gli uni e gli altri, più o meno consapevoli di essere a loro volta usati in uno scacchiere internazionale dove l’Italia era una pedina di poco conto, neppure un cavallo o una torre, sconfitta non solo nella seconda guerra mondiale, ma mai davvero unita, dove il Vaticano, la massoneria e persino i vecchi poteri locali che l’unità avrebbe dovuto superare prevalevano regolarmente sullo stato? Poteri forti e deboli che intrecciavano interessi in una rete da cui la società si sentiva così spesso esclusa.

Vicenda troppo dolorosa cui infatti, negli anni ’80 come nel dopoguerra, si è risposto di nuovo con appartamenti lindi, festival di canzonette, soubrettes e sport pur di dimenticare il sangue che Eteocle e Polinice hanno sparso alla porta della città.

Oggi quei racconti ritornano. Il film di Bellocchio, una serie sul generale Dalla Chiesa dove nelle sanguinose vicende di quegli anni non si nomina neppure una strage, né Piazza Fontana né Bologna, per non parlare delle centinaia di altre bombe esplose in Italia in quegli anni, e dove la P2, al centro di questa terribile strategia, appare come un gruppo di rotariani in vacanza. O nel difficile tentativo di raccontare Lotta Continua, che certo era in molti luoghi ma non era il dissenso assai più ampio diffuso di quegli anni. A guardare Lotta Continua si prova anche il disagio, almeno per chi non ha nostalgie, di vedere l’arretratezza di un’Italia che si muoveva male tra ideologie che erano già vecchie negli anni trenta. Né Potere Operaio né “il manifesto”, nessuna organizzazione riusciva a interpretare l’Italia di allora. Fuori dai partiti, parlamentari e extra parlamentari, in una deriva identitaria che non era solo politica. Cambiavano le famiglie, i luoghi di lavoro, i modi di vivere. Non riuscivano a raccontarla né la politica né la chiesa, tutto appariva indietro rispetto alle trasformazioni che Pasolini guardava con malinconia ma che ci facevano quello che eravamo. Con una lingua nazionale, finalmente, un’educazione scolastica diffusa, e le nostre sorelle e fidanzate che potevano uscire la sera e battersi per aborto e divorzio, e trascinare l’intera società in una conversazione che ci costruiva. Non capire tutto questo è stato l’errore delle BR ma non solo il loro. La società sono persone reali con le loro vicende, non pedine nella storia, e quindi sono anche la musica, il teatro, i romanzi e le poesie, la vita.

Riraccontare quegli anni appoggiandosi alle organizzazioni politiche assomiglia ai tentativi dei diversi Creonte di costruire una legge per la città che riescono a dirigere le indagini della magistratura, a smantellare organizzazioni terroristiche. Inevitabilmente però, mettere dei cartelli in mano a delle comparse e fargli gridare qualche slogan improbabile, appare molto banale. Pare che da una parte ci fossero persone, Moro, Della Chiesa, e dall’altra dei giovani esaltati senza storia o carattere. Ben altro cambiava il mondo. 

I protagonisti, ieri come oggi sono altri. Al centro resta Antigone e persino la povera Ismene, che vorrebbe obbedire alla legge ma per cui la sorella maggiore è una stella polare. Al centro delle terribili domande di fronte a cui cerchiamo un racconto, una spiegazione, resta Auschwitz, o la settimana di sangue della Comune di Parigi quando MacMahon fa fucilare, in soli sette giorni, 20.000 comunardi. Non basteranno tutti i vostri preti, scrive Marx, per cancellare la vergogna. Al centro resta Katyn e Pol Pot, e Tulsa, l’infinita tragedia di cui siamo eredi e di cui la nostra distrazione è solo una speranza di distrazione. Un appartamento pulito ossessivamente, perché il mondo gli resti fuori, fino a quando, come in un altro bel film di Bellocchio, non apriamo la finestra e saltiamo di sotto.

Antigone però ci parla anche del futuro perché è solo quando la città guarderà alla sua domanda ma è giusto? che riuscirà davvero a capirsi. Solo accogliere la tragedia, con tutto il sangue che è costato, può liberare la città.

L'immagine di copertina è di Andrea Macchia.

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