C’è qualcosa che le distingue, le facce come i programmi? / Facce da sindaco

18 Aprile 2016

Esco dalla linea lilla, la Metropolitana Cinque – la quattro non c’è ancora, la stanno scavando –, l’unica metropolitana che gli ultimi cinque sindaci di Milano sono riusciti a realizzare, e mi trovo davanti la faccia sorridente di Stefano Parisi. Si staglia su un enorme cartellone dal fondo giallino tendente all’arancione, il colore del sindaco Pisapia, il grande assente di questa competizione elettorale. Mi guarda felice da dietro le lenti e sembra che voglia parlare. Apre appena la bocca, in cui s’intravede un dentino che spunta tra le labbra. Meglio stare a bocca semiaperta, che a bocca chiusa. 

 

I voti si conquistano non più con i programmi, bensì con le facce. La lezione di Berlusconi è stata appresa e registrata da aspiranti politici e pubblicitari. I manifesti elettorali non si usano quasi più, ma i grandi manifesti sì. Dopo il “Presidente operaio”, le campagne si fanno così. Indossa la giacca e sotto la classica camicia bianca, con la cravatta Regimental. Parisi ha la faccia da ragioniere, non si scappa. Come quella dell’inquilino del primo piano, quello che s’incontra sulle scale la mattina, mentre si va a lavorare, quello cui si dà da sistemare il 740, e che sorride sempre, anche quando piove, o fuori c’è la nebbia, che quest’anno a Milano è tornata a fare capolino, dopo decenni di assenza, mentre prima era scomparsa, come le fabbriche e gli operai in bicicletta della Milano di Rocco e i suoi fratelli

 

 

Il ragionier Parisi ha uno slogan efficace: “Io corro per Milano”. Quel “per” sta per: “attraverso” o “a-favore-di”? Tutte le due cose, ovviamente. Dato che lui si è messo a visitare la città, i suoi quartieri, quelli periferici in particolare (la mappa dietro le sue spalle). E poiché questa è una città attiva, lui non cammina, non passeggia. Quando mai un ragioniere passeggia? Neppure la domenica. Corre. A Milano si va di fretta, perciò bisogna correre. La sua è una gara. Il centro della sua pubblicità (propaganda è una parola invecchiata, eppure…) è quella prima persona singolare, il pronome che l’ingegner Gadda aborriva, sino a ritenerlo un pidocchio. “Io” sta per: io, non l’altro candidato, quello con cui gareggio… Io corro, lui no. 

 

Vado sin sotto il cartellone, che è appena stato incollato. Vicino ci sono due signore con la borsa di plastica della spesa, che stanno commentando. “Come si fa a capire di che partito è?”, domanda la più giovane. “Caterina, ma non la vedi la bandiera tricolore sotto il suo nome?”. “Mi sa che lo voto, Francesca, io dove c’è il tricolore ci metto la croce”. Guardo meglio. In effetti più che una bandiera è un cuneo con i tre colori; segno molto discreto, ma che c’è, se le due signore l’hanno visto. Il nome e cognome è in azzurro. Si tratta di un logo smart, che con la sua dinamicità compensa quelle spallucce un po’ cadenti della giacca e la testa un po’ grossa. Per quanto ravvivato dal colorito rosa del viso e gli occhiali tartaruga, Parisi è grigio. 

 

Giro l’angolo è c’è Beppe Sala. Un altro grande pannello, poco lontano da quello dell’avversario. Beppe, non Giuseppe. Come un amico, un diminutivo. Molto italiano. Vuole farci sentire che è vicino, l’ex manager dell’Expo. Vicino e amichevole, non meno del suo competitore. È più fiero, tutto sommato. La testa è un po’ tagliata in alto (un uomo senza pensiero?), non indossa gli occhiali, e ci guarda con un che d’interrogativo. Cosa dice? Che lui ha carisma? che ha forza? che è già un sindaco? Difficile dirlo. Mi soffermo a osservarlo. Poi capisco. La faccia ha due espressioni nello stesso tempo. La parte sinistra sembra accennare a un sorriso, quella destra è seria. Sono gli occhi che comunicano la sua personalità; o meglio, che vogliono comunicare qualcosa di lui: solidità, sicurezza, finanche un’aria di sfida. Molto più aggressivo (si fa per dire) di Parisi. 

 

 

Lo slogan elettorale è perfetto. “Milano. Ogni giorno, ogni ora”. Non significa niente, ma funziona. La prima parola è scontata: Milano, la città per cui gareggiano i due, non può mancare nello slogan. È quel punto, dopo Milano, che conta. Punto a capo. Si ricomincia. Come? Ogni giorno, ogni ora. Non dormirà per essere sempre desto e presente, Beppe? Peccato che le due signore siano andate via con la loro spesa, chissà cosa avrebbero detto di quest’uomo in camicia bianca, senza giacca, cravatta scura? Modello Renzi? Modello manager. Si è tolto la giacca perché qui si lavora: ogni giorno, ogni ora. Non ha le maniche arrotolate di Bersani. Meglio, non porta bene, visto come è finito. Lo slogan è efficace: non è un programma, non indica contenuti. Punta tutto sull’uomo, sulla sua faccia. Sono entrambi uomini grigi, appena ravvivati dalle colorazioni di fondo. Beppe Sala ha scelto il grigio e poi quel logo quadrato con tanti colori. Sembra un fumetto, con la punta all’ingiù. A colpirmi è il fondale su cui campeggia un viso abbronzato: grigio. 

 

Se devo scegliere tra i due, così su due piedi, a prescindere dai loro programmi (già, quali poi saranno? sono molto simili, dicono gli esperti), adesso sceglierei Parisi. Appare più rassicurante. Sala ha qualcosa di grifagno nel viso; forse la forma della testa, l’espressione, le sopracciglia, o forse la bocca chiusa, che ha come una specie di piccola smorfia. Di certo i guru della campagna avranno visto e rivisto questa immagine, e alla fine d’istinto hanno preferito questa “aggressività” al ritratto più pacato. Eppure è questo che colpisce nel confronto con Parisi. I pubblicitari e gli esperti di marketing politico sanno quello che fanno, e Beppe, l’uomo d’azione dell’Expo, comunica quel tanto di aggressività di cui la città degli affari, della finanza, della moda e del design, ha bisogno. Un uomo d’azione, un vero manager in confronto al ragionier Parisi. 

 

Sceglieranno questo capitano di ventura i milanesi? Non si sa. Tutti i sondaggi dicono che sono molto vicini nelle preferenze. Sala un pelo più avanti; Parisi appena dietro, ma lo incalza. Il fatto è che non c’è una vera scelta. I due, fatti salvo le diversità fisiognomiche, per cui non c’è nulla da fare (si viene al mondo con quella faccia lì e non la si può certo cambiare), si somigliano moltissimo. Sono due manager, e come tali si presentano. Amministratori, un po’ come Formentini. Amministratori di città, come il leghista lo era di condominio. La città è salita verso l’alto con la sua nuova skyline. I grattacieli, che ancora stanno crescendo nella zona Fiera, necessitano d’un manager, non di un caposcala. Sono grattacieli su cui svettano il nome di una grande banca, la Unicredit, la più grande del paese, e di una grande compagnia di assicurazioni, Generali. Forse per questo il terzo candidato, il terzo incomodo tra i due, è un altro manager, l’ex capo di una banca di qui, di Milano, Banca Intesa, Corrado Passera. Per vedere la sua faccia, devo tornare a casa e accendere il computer: “Corrado Passera Sindaco”. Logo di due colori: azzurro e bianco. Passeggia per Milano, anche lui in camicia bianca, maniche appena arrotolate, mano in tasca: uno come noi. Un manager come loro.

 

PS

Da quando questo pezzo è uscito due settimane fa su "L'Espresso" sono accadute diverse cose. Uno dei candidati, l'ex manager bancario, si è apparentato a Parisi e ha rinunciato a correre come sindaco. Sui muri sono apparse gigantografia della Meloni come se fosse la pubblicità di un profumo o di una casa di moda: enorme viso liftato con procedure elettroniche. Tutto in una faccia. Ma la cosa più interessante è il nuovo manifesto di Parisi, in cui è ritratto sorridente e a bocca aperta. Non si vede più il dentino di prima. Più affabile e meno ragioniere. Per ora nessuna novità nell'immagine di Sala. Corre verso la vittoria con la sua aria grifagna inseguito a ruota dal suo contendente. Vedremo.

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