Il silenzio dei mari / L'anguilla e l'antropocene

29 Settembre 2019

Tutti conoscono le anguille per averle viste almeno una volta in un acquario, oppure offerte sul banco di un pescivendolo o addirittura per averle mangiate. Le anguille sono pesci che non lasciano indifferenti per la loro forma e colore. Nessun animale è così misterioso come loro. Patrik Svensson, scrittore svedese, ha scritto sull’anguilla un intero libro, Nel segno dell’anguilla (tr. di Monica Corbetta, Guanda, pp.281), che unisce i suoi ricordi di giovane ragazzo iniziato alla pesca dell’anguilla dal padre con una approfondita ricerca intorno a questo animale, di cui si sono occupati molti scienziati e filosofi a partire da Aristotele, padre della scienza antica. Un libro con due passi narrativi diversi, in cui si alternano le storie del genitore ai capitoli in cui Svensson ci racconta i segreti dell’anguilla. Un vero e proprio romanzo di formazione sia umana che intellettuale. Ma andiamo con ordine. 

   

Cominciamo dal luogo da dove vengono le anguille: il Mar dei Sargassi. Nome arcinoto, ma se chiedete a qualcuno di dirvi dove si trova non avrete sempre la risposta esatta. Del resto questo è un mare senza confini precisi, delimitato solo da correnti e non da terre emerse: a ovest la Corrente del Golfo, a nord la sua derivazione, la Corrente nord-atlantica, a est Corrente delle Canarie e a sud la Corrente Equatoriale Nord. Sono cinque milioni di chilometri quadrati. Non è poco. Lì l’acqua è blu scuro e cristallina e le sue profondità aggiungono i 7.000 metri. Il nome deriva da un’alga che vi galleggia, Sargassum, così che buona parte di quell’area è ricoperta da un tessuto di alghe di cui si nutrono vari pesci, e dove si nascondono granchi, tartarughe, meduse e gamberetti, e altri animali marini. Lì nascono le anguille, anche se nessuno dall’alba dei tempi, le ha mai viste nascere. Nessuno ne ha documentato l’evento. 

   

Qui si trova l’anguilla che prospera dalle nostre parti, in Europa: Anguilla anguilla, perché esiste anche una anguilla giapponese. Qui si riproduce al raggiungimento della maturità sessuale e qui depone le sue uova. All’inizio, appena nata, è una minuscola larva, con una testa piccola e occhi poco sviluppati. Si chiama leptocefalo; il corpo è piatto e trasparente, lungo pochi millimetri, somiglia, dice l’autore, a una foglia di salice. Si tratta del primo stadio dell’anguilla. In questa forma parte diretta verso l’Europa. La trasporta la Corrente del Golfo attraverso l’Atlantico fino alle coste europee. Il viaggio dura anche tre anni, mentre le larve pian piano crescono. Vicino alle rive del nostro continente subiscono una prima metamorfosi: sono le cosiddette cieche. Creature trasparenti lunghe sei-sette centimetri, sottili e affusolate. Quindi, raggiunte le coste, escono dal mare ed entrano nei corsi di acqua dolce. Qui compare l’anguilla gialla. Diviene serpentiforme e muscolosa, con occhi piccoli e un centro scuro; s’estende la pinna dal dorso al ventre e si colora dal giallo al grigio. Siamo al terzo stadio. Risale fiumiciattoli, torrenti, fiumi più ampi, si muove in acque profonde e anche superficiali; la si trova nei laghi dal fondo melmoso e dalle acque fredde, e anche nelle piccole pozze calde. Può anche strisciare tra fossi e prati, e poi rituffarsi in acqua. 

   

Come scrive Svensson l’anguilla gialla è un essere solitario, vive da sola sul fondo e caccia di notte. Si nutre di vermi, larve, rane, lumache, insetti, granchi, pesci: un animale saprofago. Vive anche a lungo, almeno cinquant’anni, se non incappa in nemici e pescatori come l’autore del libro e suo padre, che l’autore racconta con dovizia di particolari, soffermandosi sulle loro emozioni mentre pescano sulle rive del torrente vicino a casa. L’età che raggiunge è davvero inconsueta; ci sono anguille in Svezia tenute in cattività campate sino a ottant’anni. Le sue metamorfosi poi non finiscono qui: tra i quindici e i trent’anni la gialla decide di riprodursi. 

  

Prima però si trasforma: da bruno-giallastra si tramuta in un animale nero sul dorso e argento sul ventre con strisce marcate. Si chiama ora argentina, e questo è il suo quarto stadio. Torna verso l’Atlantico, da cui proviene, verso il Mar dei Sargassi. Subisce altre trasformazioni esteriori, tra cui l’estensione delle pinne per nuotare più veloce; le crescono gli occhi per vedere meglio sul fondo del mare, l’apparato digerente scompare, lo stomaco si dissolve; l’anguilla gialla usa solo le riserve di grasso svotandosi, poi riempiendosi di uova o sperma. La destinazione è quella dei Sargassi e niente riesce a fermarla. Un animale determinato come pochi altri. 

  

Dopo aver raccontato quello che sappiamo dell’anguilla, Svensson torna indietro nel tempo e traccia la storia dello studio di questo umile pesce, che è stato per secoli un boccone presente nelle tavole delle persone più povere, dei contadini padani, della classe operaia inglese, dei pescatori che vivono intorno alle Valli del Po, e poi nei paesi baschi e in altre località dell’Irlanda. Cibo da miseri, perché pescabile in fossati, fiumi e laghi, cibo nutriente. Tutto comincia con il sommo Aristotele. Per lui questo animale nasceva dal fango; per secoli e secoli resta un mistero. Se ne occupano in parecchi. Le domande sono: è un pesce o altro essere? Come si riproduce? Depone uova o partorisce? Si tratta di un essere sessuato oppure no? Un ermafrodito? Arriva il Medioevo e il mistero invece di chiarirsi s’infittisce. Poi ricomincia, c’è la nascita delle scienze naturali moderne dopo una lunga eclissi. Siamo nel XVII secolo e la rivoluzione scientifica riapre il problema anguilla. 

   

Se ne occupano i medici e scienziati italiani. Francesco Redi critica la teoria della generazione spontanea; Antonio Vallisneri, professore di storia naturale a Padova, la seziona alla ricerca delle risposte ai quesiti anatomici. Oggi ci può apparire strano che gli scienziati si dedichino a questo pesce, ma ci sono in gioco molte questioni sui fondamenti della Natura. Basterebbe leggere la nuova biografia di Charles Darwin apparsa da poco, Darwin. L’evoluzione di una vita, di Janet Browne (Hoepli editore), per capire quali e quante questioni vi fossero nella determinazione delle leggi naturali. Darwin che si occupa di coralli e di lombrichi, di coltivazione di piante e fiori, e di altro ancora. Sono i dettagli che contano per definire le leggi dell’evoluzione, come ci spiega la biografia.

  

Poi è la volta di Lazzaro Spallanzani, il grande scienziato e scrittore naturalista. La cosa interessante che ci fa scoprire Svensson, oltre a raccontarci in modo autobiografico il suo rapporto con le anguille, è la presenza di Sigmund Freud. Il giovane studente viennese si reca a Trieste per studiare le anguille, poiché nella città c’è un Museo di Storia naturale molto attivo. Se ne può leggere in un epistolario giovanile con Eduard Silberstein, amico d’infanzia del futuro fondatore della psicoanalisi (Querido amigo…, Bollati Boringhieri). Svensson racconta la storia di un Freud diciannovenne nella città di mare, e subito dopo ci parla della pesca di frodo del padre. Freud vuole diventare celebre grazie a una scoperta naturalistica, e perciò si dedica al mistero scientifico delle anguille, così come poi accadrà successivamente con la cocaina, che sperimenta, e di cui fa ampio uso per studiare, ma che non riuscirà a utilizzare per ottenere un riconoscimento scientifico. Sarà preceduto da un altro medico che l’utilizza come anestetico nelle operazioni agli occhi.

  

Gli acquari sono stati nel corso dell’Ottocento un luogo fondamentale per le ricerche scientifiche, ma anche per alimentare un immaginario che ha i suoi prolungamenti in ambito artistico e filosofico, come mostra un altro libro recente, Adorno a Napoli di Martin Mittelmeier (Feltrinelli) in cui si parla del celebre Acquario napoletano dove troviamo oltre al filosofo tedesco Walter Benjamin, Siegfried Kracauer, Alfred Sohn-Rethel e dove opera anche Ernst Junger. Adorno e i suoi amici sono interessati dal polpo, il mollusco più spettacolare della istituzione napoletana (i demoni nell’Acquario).  Nell’acquario di Messina ci sono invece due studiosi italiani, Giovanni Battista Grassi e un suo allievo, Salvatore Calandruccio, che nel 1896 descrivono la prima metamorfosi della anguilla. Tuttavia sarà un biologo danese, un uomo del Nord, Johannes Schmidt, a capire nel 1904 da dove vengono le anguille nella loro prima forma. 

   

 

La storia di questo scienziato da sola meriterebbe un libro, magari uno di quelli che scrive Fredrick Sjöberg, l’autore de Il re dell’uvetta (Iperborea), in cui riporta in vita figure ignote di scienziati ed eccentrici che hanno costellato la storia delle scienze naturali attraverso le loro vite avventurose, che spaziano tra vari continenti. Schmidt si mette alla ricerca navigando per i mari dal 1904, appena s’è sposato, al 1913, naturalmente con varie soste e riprese. Raccoglie con il retino per i mari di mezzo mondo i leptocefali, li classifica e li osserva. La sua storia sembra risolversi verso il 1914 alla vigilia della Prima guerra mondiale, quando trova due larve di soli nove millimetri. Una caccia estenuante e difficilissima. La guerra ferma tutto, e solo nel nel 1920 l’ostinato danese si reimbarca e riesce finalmente a disegnare una mappa dei punti in cui aveva trovato gli esemplari più piccoli. Il Mar dei Sargassi appare come la fine del mondo, ma anche come il suo inizio, scrive Svensson. Egli commenta la ricerca senza fine di questo danese: chi cerca le origini di qualcosa, cerca anche le proprie origini. Ovviamente parla di sé stesso, e questo libro appare proprio così: una ricerca di sé. 

  

L’anguilla europea non si pesca solo in Svezia, ma anche a Oria, nei paesi Baschi e da 2000 anni a Lough Neagh nell’Irlanda del Nord; ne parla il premio Nobel irlandese Seamus Heaney in una sua poesia, che l’autore cita in esergo al volume. Leggere queste pagine intrise di storia e di geografia, è come fare un viaggio nel tempo e insieme nello spazio, e permette anche di riscoprire libri importanti oggi dimenticati come quello di Graham Swift, Waterland, tradotto da Marco Papi nel 1986 in italiano per Garzanti: Il paese dell’acqua, e Il tamburo di latta  di Günther Grass, uscito nel 1959 in Germania, che inizia proprio con la pesca delle anguille compiuta usando la testa di un cavallo morto, cui assistono i protagonisti del romanzo: il tamburino Oscar, il padre Alfred, la madre Agnes e l’amante di lei, Jan Bronski. L’avvenimento con la sua visione repellente provocherà la morte di Agnes. C’è anche nel bellissimo libro di Boris Vian, ripubblicato da Marcos y Marcos, La schiuma dei giorni del 1947. Un vero e proprio personaggio letterario, seppur non protagonista, il nostro pesce misterioso.

    

Creatura del buio, viscida e spaventosa, che striscia fuori dal profondo, scrive Svensson, è senza dubbio repellente. Questo pesce ha avuto un destino molto altalenante. Nell’Antico Egitto era un demone potente e temibile; a Roma non la si mangiava perché ritenuta pericolosa; nella tradizione cristiana è assimilata al serpente per via della sua forma. La storia delle anguille incrocia anche quella dello sbarco dei pellegrini del Mayflower a Cape Cod, così da diventare un piatto importante della cucina americana attraverso i nativi, per poi infine scomparire.

     

L’autore di questo libro curioso, strano e affascinante, scrive che l’anguilla è il lato nascosto dell’uomo, il quale cerca un proprio posto nel mondo senza sapere bene chi sia. A metà del libro compare poi un personaggio molto interessante, Rachel Carson. Qualcuno forse la conoscerà, visto che un suo libro importante Primavera silenziosa è continuamente ristampato in Italia da Feltrinelli: Rachel Carson. Un’altra storia nella storia dell’anguilla, che Svensson racconta in modo efficace. Rachel Carson è una biologa marina, una delle più influenti del XX secolo. Possiamo anche dire che è una delle prime, se non la prima, ecologista militante del Novecento, come testimonia la sua biografia. 

   

Il libro edito di Feltrinelli è dedicato al DDT e ai danni che provoca, tanto che la sua pubblicazione ha contribuito a metterlo al bando. Nata nel 1907, è morta nel 1964, e ha scritto almeno tre libri importanti: Al vento del mare (1941), Il mare intorno a noi (1951) e Primavera silenziosa (1962). Nella terza parte del suo primo libro, uscito durante la Seconda guerra mondiale, parla dell’anguilla quale esempio d’animale marino che mostra la complessità del suo habitat per lo più sconosciuto all’uomo, che ha esplorato, se va bene, non più del 7% della sua superficie. Rachel Carson è anche una scrittrice, una di quelle scienziate che sanno scrivere e inventare metafore, trovare immagini, farsi leggere, insomma. Di più. Apre un problema che oggi è diventato di frontiera nel rapporto con il mondo animale, come mostra Altre menti di Peter Godfrey-Smith (Adelphi): l’anguilla ha una coscienza? È consapevole della propria esistenza? E se è così, cosa prova? 

   

Il filosofo Thomas Nagel nel 1974 scrisse un saggio intitolato Cosa si prova a essere un pipistrello?  (Castelvecchi). La sua idea è che la coscienza è, come ci ricorda Svensson, prima di tutto uno stato mentale, un’esperienza del mondo che ci circonda, ma anche un racconto fatto attraverso i nostri sensi; l’uomo non sa cosa prova un pipistrello, oppure un’anguilla, ma questo non impedisce di capire che questi animali possiedono una coscienza del mondo circostante con cui interagiscono in modo non meccanico. Godfrey-Smith si occupa del polpo, altro animale affascinante, e ci rende note molte cose sul suo sistema nervoso. 

   

Al vento del mare antropomorfizza l’anguilla femmina di cui racconta, e ci aiuta a capire cosa potrebbe provare questo pesce. Ci sono molte cose interessanti nei libri della biologa americana, e speriamo che vengano ristampati in italiano. Quello più enigmatico, che riguarda altri animali che vivono nei mari, è quello della percezione del tempo biologico: come fa un'anguilla a sapere che è venuto il momento di partire per tornare nel Mar dei Sargassi e riprodursi? E le varie metamorfosi quando accadono? 

   

Uno studio degli anni Ottanta del Novecento su un gruppo abbastanza numeroso di argentine in viaggio verso i Sargassi ha mostrato come la più giovane delle anguille in quello stadio della sua metamorfosi complessiva aveva otto anni, mentre la più vecchia cinquantasette. La domanda che queste diverse temporalità impongono è: che esperienza del tempo ha una creatura simile? Per noi umani il tempo è legato all’invecchiamento, e questo segue una cronologia abbastanza prevedibile. Noi non subiamo metamorfosi come le anguille: cambiamo lentamente e restiamo sempre noi stessi. 

  

Rachel Carson sostiene che nel mare, nelle profondità dove si riproduce e muore l’anguilla, l’orologio scorre in modo diverso che sulla superficie del Pianeta. Probabilmente lì il tempo ha esaurito la sua funzione ed è superfluo rispetto al modo della nostra esperienza quotidiana della realtà. Non è più scandito dalle medesime unità di misura. Nel suo primo libro scrive: “L’abisso è il luogo dove i mutamenti sono lenti, dove il passaggio degli anni non ha significato, e nemmeno la rapida successione delle stagioni”. 

   

Gli esseri più longevi finora trovati provengono dal mare. Svensson cita la vongola oceanica Ming pescata nel 2006 lungo le coste islandesi: 507 anni. Gli scienziati hanno stimato che fosse nata intorno al 1499, poco dopo la scoperta dell’America e mentre regnava in Cina la dinastia Ming. Tuttavia analizzandola gli scienziati l’hanno uccisa accidentalmente. Quanto sarebbe vissuta ancora? E quale è la coscienza di una vongola? Nel Mar della Cina, poi, ci sono “spugne di vetro” che possono raggiungere gli 11.000 anni di vita. 

   

Jakob von Uexküll, fondatore dell’etologia contemporanea, altro frequentatore dell’acquario partenopeo, in un suo studio del 1933, intitolato Ambienti animali e ambienti umani (Quodlibet), ha analizzato la temporalità della zecca che vive senza nutrirsi per anni e anni in attesa di poter parassitare un altro essere vivente, un mammifero oppure l’uomo stesso se capita; von Uexküll ha riflettuto temporalità della mosca, sui suoi movimenti vorticosi e frequentissimi, per capire come funziona dal punto di vista del tempo “il mondo” di questi animali. Sul fondo degli oceani, dove il movimento dell’orbita della Terra e il sorgere e il tramontare del Sole non sembrano influenzare più di tanto la vita degli esseri che vi abitano, il processo di invecchiamento segue probabilmente altre regole. 

   

Svensson si pone queste domande nel suo libro e altre ancora. Le ultime cento pagine del libro sono dedicate al tempo che sta per scadere: l’anguilla è in via di estinzione, come è accaduto ad altre forme di vita terresti, ad altri animali, di cui l’autore racconta la storia. I temi dei libri della Carson, vera ispiratrice di questo libro insieme narrativo e saggistico, morta di tumore al seno ancora giovane, ruotano intorno a questa questione. Sono pagine che fanno pensare e che si tingono di grigio, se non proprio di nero, i colori dell’anguilla. L’autore vi racconta la morte del padre, il pescatore di anguille, che tutta la vita ha fatto l’asfaltatore di strade e respirato i fumi perniciosi di questa sostanza nerastra distesa per far transitare le automobili. 

   

Riprende poi le argomentazioni del libro di Elizabeth Kolber, La sesta estinzione (Neri Pozza), uscito cinque anni fa, con la storia delle grandi estinzioni di massa avvenute a partire da 450 milioni di anni fa verso la fine dell’Ordoviciano, sino alla quinta, la penultima, quella dei dinosauri, 65 milioni di anni fa, quando sono emersi i mammiferi e l’Homo sapiens. Sono i temi dell’Antropocene, di cui oggi si parla moltissimo e si è scritto anche qui in doppiozero. Dopo la scomparsa delle anguille, raccontata da Svensson, toccherà a noi umani? L’interrogativo resta sospeso. Leggete questo libro, e capirete come l’anguilla abbia qualcosa in comune con noi nonostante le apparenze. Dopo di noi resterà solo il silenzio dei mari. E là in fondo la vita continuerà. Senza di noi.

 

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