Reversibilità
C’è una mostra a Milano in questo momento, allo spazio Peep-hole, intitolata Reversibility - A theatre of de-creation, ideata e curata da Pierre Bal-Blanc. Già il titolo è suggestivo, perché della reversibilità dà la versione non della freccia che rovescia l’entropia ma della continua interconnessione tra creazione e de-creazione, che non è distruzione appunto, suo opposto, ma smontaggio, decostruzione, come ormai si usa dire.
La mostra è composta da diverse opere di vari artisti ambientate tra loro, con speciale attenzione allo spazio, alla sua storia (prima di essere Peep-hole era già stata una galleria d’arte, poi un appartamento e di nuovo una galleria – e ora di nuovo qualcos’altro perché Peep-hole è costretta a trasferirsi dopo questa mostra). Tra tutte le opere ve ne sono due fotografiche, che hanno attratto subito la mia attenzione.
La prima, nella prima stanza, è dell’artista Sanja Ivekovic, che ha accostato-mescolato immagini sue personali, della sua vita privata, in atteggiamenti affettuosi con il suo compagno, e immagini di uguale soggetto tratte dalla carta stampata. Trovo giusto mettere in gioco se stessi quando si discute di stereotipi e di comunicazione – la reversione, se così posso dire, sta appunto qui: guardarsi allo specchio invece che denunciare il conformismo altrui. Invece in fondo non sono molti a farlo, mi pare, e qui mi ha commosso che l’artista l’abbia fatto su propri atteggiamenti intimi, delicati, fragili.
Qui vi è in gioco anche una questione temporale, di autopercezione, che avviene sempre un po’ dopo, après coup, come dicono i francesi, fosse pure dopo solo i tre famosi secondi di Sigitas Parulskis (avete letto il suo magnifico Tre secondi di cielo?). Questo ci collega all’altro lavoro fotografico in mostra.
La fotografia in realtà sarebbe quel che resta di una performance per me meno interessante della foto, che peraltro ne contiene tutto il senso e forse qualcosa in più. È opera di Slaven Tolj e rappresenta un bicchiere pieno a metà, un posacenere con una sigaretta abbandonata, altri oggetti e un biglietto con scritto a mano “Torno tra 5 minuti”. Inutile precisare che l’artista non è più tornato, perché l’idea, dicevo, è molto efficacemente tutta nell’immagine ed è un’altra reversione: non la fotografia come “è stato”, come documento di ciò che è sparito, ma come promessa di ciò che avverrà, fra meno di cinque minuti, non da allora, dal momento dello scatto, ma da questo istante, quello della visione: il ritorno del reale.
Veduta di una sala dell’esposizione. Foto A. Zambianchi.