Invece di una fotografia

17 Maggio 2012

Una sorta di follia calma, assopita, introvertita: è seduto di fronte a me, le mani in mano, credo che si dica così, cioè una nell’altra riposte in grembo, non fa niente, ebete e pacato, guarda intorno senza alcuna agitazione né impazienza, anzi un po’ come al rallentatore, ma non veramente, solo pochissimo. Resterà sicuramente così fino alla fine del viaggio, fino a Bari (a proposito: al bigliettaio ha chiesto candidamente, con domanda che non aspetta veramente la risposta: “Va fino a Crotone questo treno?”. “No, queste carrozze solo fino a Bari. Lei dove deve andare?”. “A Bari”. Punto. Senza alcuna espressione, sottolineatura, commento...).

 

Non si capisce se si annoia, non è rassegnazione, è così, non so cos’è. Anche il suo sguardo è così: vede, certo, ma come se niente possa segnarlo. Puro sguardo? Cosa significa? Piuttosto uno sguardo calmo, lento, trattenuto, non che trattiene, “puro”, come l’acqua, trasparente come l’acqua, che lascia vedere dentro, e dentro non c’è niente da vedere. Non so se contiene una qualche tristezza; verrebbe da pensarlo, ma sembra piuttosto calma, assenza di reazione.

 

Lei ha uno sguardo assorto, melanconico, rivolto in basso, mentre il suo riflesso nel finestrino mi guarda interrogativo, quasi si sia accorto che la guardo.

 

Camminavo quando mi è caduto l’occhio per terra (modo di dire!) su un cerotto messo proprio di traverso sulla divisione tra due quadrati di linoleum della pavimentazione. Un gesto commovente che ho immaginato fatto volontariamente da qualcuno. Il senso stesso del nostro fare – e, aggiungo, della fotografia –, ho pensato.

 

Non so come e perché, ho identificato gli occhi umidi della ragazza che si è seduta davanti me e ha appena lasciato il suo ragazzo alla stazione con l’immagine del torrente che mi è apparsa al finestrino accanto al suo volto, dove ho guardato per distogliere lo sguardo da lei e toglierla dall’imbarazzo. Quello che mi ha colpito, certo a causa della luce che li faceva brillare, sono stati i sassi grossi che non so se ostacolassero il corso dell’acqua o ne apparissero come portati lì in primo piano, perfino prodotti, da esso. Lacrime solidificate? Cos’altro?

 

Come mi è già capitato altre volte, sto da qualche parte, scocciato, ad aspettare una persona in ritardo, stanco dopo una giornata un po’ pesante, un po’ di musica nell’ipod per abbreviare l’attesa, quando all’improvviso arriva un’arietta fresca che mi avvolge, e allora tutto mi pare aver un senso.

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