Voci di nuovi italiani (1)

19 Agosto 2022

Il Ministero dell’Istruzione rileva che nell’anno scolastico 2020/2021 erano iscritti 865.388 alunni e alunne con passaporto straniero; la legge di cittadinanza vigente è lo ius sanguinis, che ancora oggi priva i ragazzi (dopo tredici anni di scolarizzazione in cui tutto hanno condiviso con i loro compagni italiani) del diritto di cittadinanza, che possono richiedere solo dai 18 compiuti, con attese lunghe anni.

Il 25 settembre 2022 si terranno le elezioni parlamentari: il Governo Draghi è caduto anche perché in Parlamento si stava approvando una nuova legge sulla cittadinanza, lo ius scholae, che avrebbe permesso ai ragazzi non nati qui di diventare italiani come i loro compagni dopo aver frequentato almeno cinque anni di scolarizzazione. Molti nuovi italiani potranno votare, molti no. Chi sono? Che ne pensano dell’Italia in cui vivono e che così spesso non li riconosce?

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Cominciamo con Marwa Mahmoud, consigliera comunale del Comune di Reggio Emilia e Presidente della Commissione consiliare "Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali".

«Sono nata ad Alessandria d’Egitto nell’84 e sono cresciuta a Reggio Emilia, poi mi sono laureata a Bologna in Lingue e letterature straniere sulla simbologia nelle novelle di Nagib Mahfuz».

Che lavoro facevano i tuoi genitori?

«Mio padre ha sempre fatto il saldatore e mia mamma la casalinga».

In che lingua pensi?

 «Direi che ormai penso in italiano, non in arabo. Sono italiana da 22 anni grazie alla naturalizzazione, con cui dimostri di aver vissuto 10 anni in Italia. Ma aspettai quattro anni per averla, dai 18 ai 22… anni umilianti, pesanti perché ho perso molte opportunità che avevano i miei coetanei».

Che rapporti hai con l'Egitto? Ci torni?

«Ho sempre avuto un bel rapporto con il mio Paese di origine, ma non ho mai avuto la tentazione di tornare là come classe dirigente; ormai faccio politica a Reggio Emilia… là mi sentirei un pesce fuor d'acqua, e poi se ci rimettessi piede finirei in galera come Patrick Zaki, o potrebbero pure ammazzarmi come il compianto Giulio Regeni, per le campagne sui diritti umani che faccio qui. Per la verità su Giulio continuo a battermi, e ammiro i suoi genitori. Occorrerebbero sanzioni all’Egitto da parte dell’UE».

Da ragazza ti sentivi discriminata, qui?

«Sì, ci sono stati episodi che mi hanno fatto sentire non italiana, soprattutto dopo i 18, in cui tutti acceleravano e io non potevo. Niente Progetto Erasmus, niente servizio civile regionale che allora prevedeva ancora la cittadinanza italiana: ora molte Regioni hanno cambiato quella legislazione, ma non è cambiata quella nazionale.

Nella scuola dell’obbligo non mi hanno mai fatto percepire che fossi di origine straniera: né le insegnanti né i compagni. Al liceo invece ero l’unica di origini non italiane, e la diversità era marcata dal mio essere musulmana, il che è vissuto ancora come una minaccia. In altri Paesi il pregiudizio è stato superato. Il fatto di essere donna è quello che maggiormente mi mette nella condizione di ricevere più condizionamenti sociali: la mia fede si aggiunge alla misoginia e al sessismo ancora molto diffuso; se vai come donna in una banca a chiedere un mutuo c’è diffidenza, ti fanno tante storie se porti il velo. Ti percepiscono come inferiore rispetto a quello che potresti o dovresti essere».

Sei tra le prime donne nuove italiane in un ruolo importante.

«Sì, dal 2019 sono consigliera comunale del Partito Democratico a Reggio Emilia, ma in Italia è ancora difficile salire negli incarichi. Più nel centrosinistra che nel centrodestra!»

Hai visto la serie tv SKAM 4, in cui era protagonista una nuova italiana musulmana? Una novità importante.

«Sì. Devo dire che i maschi (il padre, il fratello, gli amici del fratello) non è che facciano una bella figura nella serie. Ma ormai ci sono molte ragazze cazzute – passami il termine –, molto più combattive, c'è una grande responsabilizzazione che vivono fin da piccole rispetto a questo tema del riscatto sociale e culturali. In molte famiglie musulmane ancora però solo ai figli maschi viene lasciata molta possibilità di muoversi, vengono educati diversamente dalle femmine; le pressioni perché sposi un ragazzo della comunità degli afrodiscendenti musulmani ci sono.

Molto nella comunità pakistana, meno in quelle nordafricane. Nelle seconde generazioni di maschi vedo deresponsabilizzazione totale in merito alla affermazione nella società italiana, non si prendono in carico un senso di riscatto, non si battono per cambiare l'ordine delle cose; le ragazze invece in Europa hanno una opportunità di vivere qualcosa che nel Paese di origine non avrebbero potuto vivere.

Ci sono anche molti movimenti di attiviste dei diritti civili là e quindi c'è di più l’idea di coltivare una elevazione sociale anche attraverso le figlie. Non tutta l’Africa è uguale, ovviamente. In Sudafrica e Mozambico hanno vissuto una grande evoluzione dei diritti umani e civili negli ultimi 30 anni, sono più avanti dell’Italia! In nord Africa invece la spinta delle primavere arabe è stata fermata dalle élite al potere, basta vedere cosa sta succedendo in Egitto o Tunisia».

L’Italia come ti sembra messa?

«All’estero avere passaporto italiano è ritenuto un privilegio, lo si ritiene un Paese bello, ricco. 

Sono gli italiani quelli che parlano peggio dell'Italia, che ha invece una bellezza di paesaggi che non riusciamo a valorizzare abbastanza, un patrimonio artistico culturale immenso, una qualità della vita invidiabile, si mangia bene». 

Come vedi la politica italiana sul tema delle pari opportunità e dell’integrazione?

«Fino a 20 anni fa avevamo cercato di raggiungere buoni livelli di coesione sociale, di valore della diversità culturale, di inserimento della seconda generazione… poi c'è stata un' involuzione totale, perché la sinistra principalmente non ha saputo fare fronte a quello che la destra ha saputo abilmente raccontare, ovvero diversità=insicurezza.

Ci sono grandi responsabilità che stanno in capo a chi ha portato avanti la cultura negli ultimi 40 anni in Italia: intanto per non aver saputo mai rielaborare il tema del colonialismo italiano, cioè non aver mai saputo riconoscere le sofferenze che questo ha implicato; l'altro tema è il fascismo: abbiamo pensato a un certo punto di averlo abbattuto totalmente, ma fu soltanto una sconfitta militare! i germi sono rimasti». 

Cittadinanza italiana: siamo ancora allo ius sanguinis

«Se i tuoi genitori non hanno la cittadinanza italiana devi aspettare i 18 anni per chiederla: questo è gravissimo: non puoi partecipare a concorsi, non puoi viaggiare, non puoi muoverti liberamente, non puoi far nulla rispetto ai tuoi coetanei!»

Marwa Mahmoud
Marwa Mahmoud.

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Aziza è nata nel 2006. Minorenne, non ha cittadinanza italiana: studia in un liceo scientifico della città. I genitori sono marocchini. Il padre lavora nel commercio, la madre è casalinga.

Che rapporti hai con il Marocco? 

«Possiamo dire che sono rapporti di amore ed odio, nel senso che resta il mio Paese d’origine, ma sarà qui che vivrò i prossimi anni della mia vita; ma quando mi arrabbio penso in arabo!»

Non avere ancora la cittadinanza per te è un problema?

«Dipende dalle situazioni… sarà un po' scomodo negli anni a venire però per ora non è un problema. Non porto l’hijab, non prego cinque volte al giorno ma sono musulmana».

Frequenti una moschea?

«Non molto, durante il Ramadan sì.  Punto alla realizzazione di me stessa come donna in una società anche qui maschilista. Non so se farò dei figli: per avere dei bambini ci vuole una grande convinzione, e io credo di dover puntare su di me come donna e non come oggetto di un uomo che mi aggiunga alla lavatrice e alla lavastoviglie!»

Come ti trovi al liceo?

«Ci sono delle cose che veramente non mi piacciono: alcuni professori stravedono per me ma altri esercitano un potere eccessivo di pensiero, tendono ad applicare questo potere sulle nostre menti».

Credi nell’Unione Europea? In libertà, uguaglianza e fratellanza?

«Mah… l'Unione Europea ha fini principalmente economici, ma avere una cittadinanza europea oggi è un vantaggio: si può viaggiare liberamente senza visto; quando in un aeroporto europeo vedono che hai un passaporto di un altro colore te lo fanno pesare. Per me la libertà è soprattutto libertà di parola, di pensiero, poter vivere la propria vita seguendo le proprie regole nel rispetto delle leggi. Uguaglianza è che i membri di una stessa collettività siano considerati allo stesso modo: pari opportunità, pari diritti. La fratellanza non è per forza un legame di sangue, è un sentimento reciproco. Invece sono ancora molto rilevanti le differenze fra maschio e femmina».

Ti pesa vivere sotto lo ius sanguinis?

«Le persone che vengono da Stati esteri in Italia sono guardate ancora con diffidenza, ma fanno lavori che gli italiani non vogliono più fare. Se un immigrato arriva da Paese in guerra, senza democrazia, in cui non è garantito un pasto per i propri figli, vivere in Italia è un lusso; queste persone non hanno paura di sporcarsi le mani per potersi creare una nuova vita qui. Vorrei fare l’università dopo il liceo, penso Economia al momento. Voglio formare me stessa, per poter aiutare altre donne a essere donne, a non essere oggetti, a essere menti pensanti e indipendenti».

La pandemia secondo te ha cambiato delle cose? 

«Non ho visto mia sorella per tre mesi anche se viviamo nella stessa città. Non siamo diventati più buoni, anzi stiamo diventando più cattivi. Il lockdown mi ha dato modo di pensare molto, anche troppo! A volte credevo di impazzire».

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Aziza.

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Simon Samaki Osagie si è laureato in Scienze Politiche a Londra, dove ora guida il progetto di inclusione sociale Let’s Reinvent Now e organizza gli Speakerbox Street Party e il Black Culture Festival.

«Sono nato a Bibbiena in provincia di Arezzo nel 1984, poi i miei si sono trasferiti per motivi di lavoro prima a Modena poi a Pavia poi a Parma e definitivamente a Udine. Prima di venire qui a Londra tutto il mio percorso fino al diploma di Tecnico dei Servizi Sociali in una scuola superiore professionale l’ho fatto ad Udine. Volevo fare qualcosa per la comunità»

I tuoi genitori che origine hanno?

«Nigeria: mio padre era un insegnante e mia madre un’infermiera, là. Quando sono arrivati in Italia negli anni ‘80 si sono dovuti arrangiare a fare quello che trovavano. In casa parlavamo sia inglese sia il dialetto di Benin City. Penso nelle mie tre lingue. La questione delle cittadinanze è stata molto molto travagliata per me: in Italia ho dovuto aspettare molto. Sono diventato italiano solo a 24 anni per colpa di un cavillo burocratico. Ora ho due cittadinanze».

In Nigeria torni?

«L’ultima volta che sono stato in Nigeria avevo 16 anni, ma adesso una volta voglio tornarci».

A scuola sei stato discriminato?

«No, sono stato abbastanza fortunato: i compagni mi facevano sentire ben integrato, i prof invece non riuscivano a stimolarmi, non erano capaci di un rapporto umano».

 Come sei finito a Londra?

«Stavo già io facendo l'intrattenitore e il dj, cercavo una cosa continuativa e volevo migliorare il mio inglese. Ho preso qua la mia laurea in Scienze Politiche alla London Metropolitan University con una tesi sulla Brexit. Ora sono una sorta di mediatore culturale».

Sei bene integrato?

«L’Inghilterra è un Paese storicamente più avanti dell'Italia sulle questioni dell’inclusione. La sua multiculturalità mi ha aperto tante prospettive, mi ha aperto anche mentalmente».

Se fossi eletto in Parlamento in Italia che faresti?

«Prima di tutto mi concentrerei sulle politiche sociali, favorirei iniziative dove i giovani dalla mente brillante potessero trovare sbocchi, sviluppare il loro talento intellettuale e creativo. Creerei un sistema di borse di studio e sovvenzionerei pubblicamente centri culturali».

Subisci discriminazioni?

«C’è ancora un divario. Per il nostro aspetto fisico, in particolare, ma c’è una coscienza sociale, le persone stanno cercando di includere le diversità e questo è un bene. In Belgio e in Inghilterra in particolare».

L’Italia ti piace?

«Beh, c’è una bella qualità della vita in generale, si mangia bene e il clima è bello. Ma ci sono serie carenze istituzionali: i giovani non vengono valorizzati, viene trascurato il futuro. Ci tornerei in Italia, se ci fossero più opportunità per il mio lavoro di integrazione culturale. Oppure potrei andare in un Paese africano sviluppato, come il Ghana… me ne parlano bene. Ma a Londra mi sento me stesso, non devo nascondere chi sono, non vengo giudicato per le mie origini, posso cambiare ancora e sperimentare. Mi sento un cittadino del mondo. La pandemia comunque ha peggiorato le cose, la gente si sentiva in gabbia ed è crollata l’empatia, è stato un periodo duro».

 Sei religioso?

«Credo che in ognuno ci sia qualcosa di spirituale, penso che tutte le religioni possono essere controproducenti e scivolare nel fanatismo».

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