Assassini dell'amore
Dimenticate Oscar Wilde. Quell’Oscar Wilde, il dandy, il raffinato mondano esteta che trentenne capisce di essere omosessuale, mostrandosi sfrontatamente alla bigotta società vittoriana: la società di quella Regina che si fece portare il primo vibratore elettrico per sedare in privato la sua isteria e che morì un anno dopo lo scrittore condannato a due anni di lavori forzati per sodomia. Si portavano nella tomba un tempo di spietati combattimenti etici e moralistici. Obliate le scintillanti battute del conferenziere che racconta la strana America («La mortalità dei pianisti in quel posto è straordinaria»), le massime pullulanti sino a dare il mal di testa delle Istruzioni dei troppo istruiti («L’amicizia è molto più tragica dell’amore. Dura più a lungo») e delle Frasi e filosofie ad uso dei giovani («Nulla invecchia come la felicità», «Amare se stessi è l’inizio di una storia d’amore che dura tutta la vita»).
Quando Oscar Wilde si innamora del giovane, vizioso, sleale, vigliacco, iracondo Alfred “Bosie” Douglas, la sua vita ridente irridente prende a precipitare come le ali di Icaro sciolte dal sole dell’attaccamento. Guido Davico Bonino, che traduce e introduce con la sua smagliante chiarezza divulgativa la Ballata del carcere di Reading, ci spiega con essenziale cronaca la caduta del dandy: nel 1895 lo spregevole e disonesto padre di Bosie, il marchese di Queensberry, lascia al portiere dell’Albemarle Club di Londra un biglietto che accusa lo scrittore d’essere un sodomita: la relazione con Bosie andava avanti da quattro anni, tra continue scenate violente dello spregevole marchesino. Wilde commette l’errore di querelare il suocero per diffamazione, e nel processo si becca due anni di condanna ai lavori forzati per sodomia, travolto dalle testimonianza di una decina di compagni d’orgia affittati con Bosie e prezzolati dal marchese a testimoniare.
Dopo essere passato in varie carceri, Wilde finisce entro l’orrenda muraglia di mattoni rossi fradici di pioggia di Reading. Il 7 luglio 1896, il soldato Thomas Woolridge, dragone di sua maestà la Regina Vittoria, viene impiccato per avere sgozzato la moglie, ritenuta da lui adultera. A Reading Wilde scrive la lunga lettera straziata e etica a Bosie, il De profundis. Il poemetto The Ballad of Reading Gaol lo scrive invece dopo il rilascio del 1897: qui non c’è spazio per le battutine, per le arguzie. Qui, in saltellanti musicali strofe di sei versi in rime ABCBDB, Wilde rantola dal fondo del pozzo del dolore, dell’abiezione, dell’infamia. Nel 1891, nel saggio L’anima dell’uomo sotto il socialismo, aveva per la prima volta riflettuto sulla responsabilità morale delle sofferenze inflitte dall’uomo sull’uomo nella società, aveva riflettuto su Gesù come figura sovversiva, individualista, punita dalla cupa e cupida regressione uniformante: Cristo accettava l’autorità, non si opponeva con la violenza, ma voleva «disfarsi del dolore e della sofferenza che discende da dolore».
Nella Ballata ci sono incubi grotteschi di anime dannate in corteo nella notte nei corridoi della galera, pioggia incessante che marcisce l’anima, compassione per il condannato, lieve e quasi sereno negli ultimi suoi giorni. Le ore mute dopo l’impiccagione alle 8 del mattino. La denuncia dell’orrore carcerario, che organizza, pianifica, esegue, ripete giorno dopo giorno l’umiliazione del cibo schifoso, delle celle marce, delle latrine putride, del piccolo lembo di cielo azzurrino nel cortile qualche minuto al giorno:
Eravamo come uomini che brancolano
in un’immonda tenebrosa palude.
Non osavamo metterci a pregare
né a dar sfogo alla nostra angoscia.
Qualcosa era morto in tutti noi:
e quel qualcosa era la Speranza.
Wilde muore a Parigi nel 1900, a 46 anni. Dal processo in poi, il sorriso è morto sulle sue labbra. Si sforza di combattere la depressione e l’accidia, ma ciò che ha vissuto per la sua passione erotica ne ha fatto un amaro e lucido testimone della disperazione:
Ogni uomo uccide ciò che ama
- ciascuno ascolti queste mie parole!
C’è chi lo fa con un amaro sguardo,
chi con parole adulatrici,
il vile uccide baciando,
e lo spavaldo con la spada!
Guai a voi ancora oggi, vili, spavaldi, amari assassini dell’amore!