Speciale Docucity | Uno sguardo sulla città
Il sette maggio prende il via Docucity – documentare la città, festival di cinema documentario organizzato dall'Università degli Studi di Milano – Corso di laurea in mediazione linguistica e culturale, in collaborazione con il CTU (Centro di servizio per le tecnologie e la didattica universitaria multimediale e a distanza). Il festival, giunto alla quarta edizione, si propone di utilizzare il cinema documentario per riflettere sulla metropoli contemporanea, unendo il cinema alla riflessione sulla comunità multiculturale e sulle diverse realtà urbane.
Per saperne di più, ne abbiamo parlato con Nicoletta Vallorani e Gianmarco Torri, che nel 2006, insieme a Marco Carraro, hanno dato vita al progetto.
Nella scheda di presentazione che compare sul vostro sito web, attribuite a Docucity un'identità “composita come quella di chi ne ha concepito l'idea”. Come è nato il festival, e da dove nasce questa natura “ibrida”?
Nicoletta Vallorani: Il contesto in cui il festival ha avuto origine, il Polo di Mediazione Interculturale e Comunicazione, è per sua natura “ibrido”. C'era già un orientamento ben preciso verso lo studio delle geografie urbane, e diversi docenti utilizzavano lo strumento audiovisivo all'interno dei propri corsi. In qualche misura, insomma, il terreno era già “arato” per consentire la nascita di un progetto di questo tipo. Ci sembrava particolarmente interessante “esportare” competenze acquisite all'interno dell'università, in modo che il processo formativo avesse delle ricadute anche all'esterno, nella costruzione della comunità, del tessuto sociale. Quello che non ci aspettavamo – o almeno, quel che non mi aspettavo io in particolare, che non insegno cinema ma studi culturali – è proprio l'efficacia del testo filmico nell'attività formativa, insieme alla sua capacità di “uscire” dai confini dell'università. Già nella prima rassegna il pubblico esterno era consistente, e questo modifica molto le dinamiche in aula, il corso diventa molto più concreto.
Gianmarco Torri: L'altro elemento importante è la presenza del CTU, una struttura nata negli anni Settanta che da sempre si dedica alla produzione di strumenti audiovisivi destinati alla didattica. Nel 2005 il settore audiovisivo è stato rilanciato, contestualmente al trasferimento qui a Sesto San Giovanni, ampliando l'investimento sulla mediateca per la quale abbiamo continuato ad acquisire, sul mercato italiano e internazionale, film documentari da utilizzare all'interno delle lezioni. Docucity è stato un progetto specifico che, nato come rassegna, ha trovato via via una sua identità più forte. Tutti i film passati a Docucity, nelle rassegne e successivamente (a partire dal 2010) nel concorso, sono accessibili e consultabili pubblicamente presso la nostra mediateca.
Molti fra coloro che si occupano di cinema documentario, oggi, preferiscono riferirsi ad esso come “cinema del reale”, “cinema della realtà”. Voi invece, fin dal nome che avete scelto per il progetto, avete optato per la definizione “classica”, senza troppe preoccupazioni terminologiche.
Torri: Io non trovo disdicevole utilizzare il termine “cinema documentario”. Se dovessi proprio scegliere, preferirei fare riferimento all'ambito del “cinema di non-fiction”, che riflette tutta quella vastissima area che include cinema sperimentale, cinema d'animazione, film etnografici o antropologici... Di fatto, questo è il materiale che fin dal primo anno abbiamo selezionato per il concorso Docucity, mescolando opere più narrative con altre più sperimentali, oppure film che univano al loro interno formati e linguaggi diversi.
Vallorani: Quello che vuole fare Docucity è dare voce, attraverso il cinema documentario, a realtà marginali che altrimenti non verrebbero perlustrate facilmente. La sperimentazione e la progettazione che stanno dietro a un lavoro sono per noi importantissimi: per questo Docucity accoglie sia il prodotto cinematograficamente sofisticato, sia – soprattutto in ragione del suo significato – il frutto di un'elaborazione collettiva, anche se il risultato, cinematograficamente, presenta delle caratteristiche non perfettamente compiute... Forse in questo Docucity è un festival un po' diverso da un comune festival di cinema.
Frequentando i festival cinematografici di questi ultimi anni, sembra che le autentiche innovazioni linguistiche vengano proprio dall'ambito del documentario. Voi cosa ne pensate?
Torri: A mio parere, quella definizione “in negativo” di “cinema di non-fiction”, lascia paradossalmente una enorme libertà di scelta fra i modelli di costruzione del discorso, anche molto ricchi e assolutamente imprevisti. Per cui, forse, la scelta di non aderire ad una struttura formale e produttiva forte come quella del cinema di finzione consente di sperimentare in corso d'opera delle soluzioni che, a posteriori, possono produrre un risultato innovativo.
Vallorani: Forse l'aspetto interessante del cinema di non-fiction è, di nuovo, l'ibridazione, il collocarsi in questa terra di nessuno a metà fra la sofisticatezza della ricerca accademica e le esperienze della cultura popolare, all'interno della quale l'avanguardia si esprime soprattutto attraverso il documentario. Le vere novità provengono da lì, e non solo nel cinema, ma anche nella letteratura: prodotti ibridi che sono in parte saggio e in parte romanzo.
Docucity arriva quest'anno alla quarta edizione. Quali cambiamenti e quali novità ci saranno?
Torri: In termini di programmazione, due sono le novità di questa edizione sulle quali contiamo di crescere: la prima è la collaborazione con il festival di cinema documentario di Yamagata (Giappone), uno dei punti di riferimento per il cinema di ricerca e di non-fiction, con cui quest'anno abbiamo avviato uno scambio, per cui ospiteremo alcuni registi di Yamagata che presenteranno i propri film; la seconda è una sezione internazionale, fuori concorso, che già l'anno scorso aveva fatto un'apparizione, ma che quest'anno abbiamo cercato di strutturare meglio, cercando di stabilire un dialogo a più ampio raggio, al di fuori del panorama italiano.
Vallorani: Personalmente, quello che mi entusiasma di questa esperienza è vedere come essa si sia costruita in questi sei anni attraverso un apporto collettivo. Soprattutto, il potenziamento del ruolo degli studenti e più in generale dei giovani: pian piano il loro ruolo è diventato sempre più importante, c'è stata la creazione di una giuria composta interamente da loro (costruita fornendo degli strumenti, organizzando una giornata di formazione: non ci siamo limitati a mettere insieme dei nomi). O anche il contributo professionisti esterni, come ad esempio Maurizio Nichetti, che in questi anni è stato fondamentale nel coordinare la giuria di giovani. E questo se vuoi è il risultato positivo di una cosa negativa: come tutte le iniziative culturali, infatti, anche questa non ha finanziamenti. Quest'anno c'è stato un finanziamento iniziale da parte del Comune di Milano che poi è stato ritrattato, e questo ci ha messo nella condizione di chiedere aiuto a chiunque. Ecco, io vorrei dire che più delle altre edizioni di Docucity, questa sarebbe stata impensabile senza l'aiuto di piccole realtà e di individui che hanno offerto gratuitamente la loro collaborazione, laddove le grandi istituzioni invece hanno preferito tirarsi indietro.