Per un teatro di alleanze: lacasadargilla

22 Dicembre 2023

Cinque premi Ubu sono il bottino guadagnato agli Oscar del teatro italiano dalla compagnia romana lacasadargilla. Esule dalla sua città come molti altri artisti, da Fabrizio Arcuri a Roberto Latini, ha presentato quest’anno al Piccolo Teatro di Milano, di cui è artista associata, Anatomia di un suicidio, un polittico lacerante che si incentra su tre generazioni di donne, su una casa che va progressivamente svuotandosi, su una pulsione all’autodistruzione che diventa rifiuto di perpetuare la specie e le sofferenze. Lavoro complesso e bellissimo, è stato decretato migliore spettacolo dell’anno da una settantina di critici, che costituiscono la platea di refendarie e referendarie del premio istituito da Franco Quadri nel 1978. Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni si sono aggiudicati il riconoscimento per la migliore regia per questo lavoro prodotto con il Piccolo di Milano e per Il Ministero della Solitudine, creato con Ert / Teatro Nazionale, una scrittura collettiva degli attori con la drammaturgia di Fabrizio Sinisi e la drammaturgia del gesto di Marta Ciappina. Francesco Villano, interprete delle due pièce, è stato incoronato miglior attore del 2023, e migliore attrice under 35 è risultata dal ballottaggio Petra Valentini, impegnata in Anatomia di un suicidio. Infine questo testo dell’inglese Alice Birch è stato premiato come migliore opera di teatro straniera rappresentata in Italia. 

Cerchiamo di capire i motivi di questa eccezionale concentrazione di premi parlando con Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni, Maddalena Parise, Alice Palazzi, i componenti del nucleo storico di una compagnia che fa del lavoro collettivo e della ricerca continua il suo metodo e che a seconda delle necessità allarga o restringe il gruppo (sì, usiamo questa parola che rimanda al teatro e alle esperienze politiche degli anni settanta), instaurando sempre alleanze profonde tra artisti. Tant’è che alla cerimonia della consegna dei premi organizzata dall’Associazione Ubu per Franco Quadri, lacasadargilla, in moltissimi sul palco, ha proposto “alleanza” come parola chiave per la scena del futuro.

Come vi spiegate questa pioggia di premi?

LISA FERLAZZO NATOLI: Alla fine, nonostante tutto, siamo stati fortunati. Anatomia di un suicidio e Il Ministero della Solitudine si sono avvicinati nel tempo, li abbiamo rappresentati a distanza di pochi mesi. Ministero ha debuttato con un anno di ritardo, dettato dalla pandemia. La fortuna che abbiamo avuto è che sia stato colto il processo di lavoro di Ministero della Solitudine, molto diverso da quello degli altri lavori.

ALESSANDRO FERRONI: Quando abbiamo saputo che saltava Il Ministero della Solitudine e poi che il suo debutto sarebbe coinciso con quello di Anatomia al Piccolo abbiamo pensato che quest’ultimo, data la sede e la lunga tenitura, lo avrebbe fagocitato. E invece siamo stati sorpresi dall’accoglienza, e soprattutto dalla qualità dello sguardo di chi ha osservato questo lavoro che è durato tre anni e ha innescato processi creativi non usuali.

Claudia Pajewski 1022 - Il ministero della solitudine

 

 

 

Ministero della solitudine, ph. Claudia Pajewski.

Il Ministero della Solitudine è frutto di una scrittura collettiva, fatta sul palcoscenico e sulla pagina… Ma a questo punto forse sarebbe bene ci raccontaste un po’ la storia della vostra compagnia, che dopo un lungo lavoro abbastanza poco sotto i riflettori a poco a poco acquista grande visibilità.

LFN: Il nostro quartetto lavora da quasi quindici anni. Abbiamo formazioni diverse e questo ci tiene insieme. Io sono una teatrante pura, vengo da una storia familiare legata a Spazio Zero, il teatro romano fondato a Testaccio da mio padre Lisi e da mia madre Silvana (uno dei centri vitali della ricerca teatrale romana, ndr). Era un luogo dove si è costruita una comunità che più che produrre spettacoli propri ospitava artisti. Ha fatto coabitare persone, Dna, gruppi allargati molto diversi. E credo che su questa nozione tutti e quattro per ragioni diverse ci siamo ritrovati. In questi quindici anni, con esperienze varie, ci siamo dati il tempo di maturare. Con When the Rain Stops Falling dell’australiano Andrew Bovell, creato per Ert nel 2019 (vincitore di premi Ubu per la regia, il testo, i costumi, ndr), abbiamo cementato un gruppo allargato che lavorava insieme, un gruppo di attori autori che sanno prendersi carico, collettivamente, di un progetto, ne capiscono la natura. Quello che ci contraddistingue sono spettacoli di gruppo, dove è difficile definire chi è il protagonista.

ALICE PALAZZI: Io nasco come attrice. Condivido questi principi della necessità di costruire una ‘casa’, un gruppo: era una linea che avevo chiara in testa dall’inizio, da quando ho iniziato a lavorare con la Raffaello Sanzio, che mi ha passato quell’idea, quel modello. 

AF: Io e Maddalena siamo rubati ad altri mondi: io al cinema e al documentario,

MADDALENA PARISE: Io alla ricerca universitaria.

AF: Come diceva alla fine della premiazione degli Ubu Graziano Graziani stiamo cercando di definire un nuovo sistema capocomicale 3.0. Io non ho mai pensato di salire su un palcoscenico. Lisa è questa strana peculiare attrice che ha sempre teso a stare fuori dal palco. E quindi è una forma di capocomicato veramente libera dall’“esisto in quanto devo essere visibile”. Queste sottrazioni ci hanno permesso di rintracciare un certo tipo di interpreti che loro sì ci vogliono stare sul palcoscenico, e meno male, ma che hanno interpretato perfettamente questo nostro disegno.

MP: Io ho una formazione universitaria ma allo stesso tempo bazzicavo per Spazio Zero dipingendo, aiutando per le scene: in teatro è necessario anche un artigianato, un creare oggetti plurimi che non siano soltanto lo spettacolo.

 

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When the Rain Stops Falling, ph. Sveva Bellucci.

Che cosa ha significato per voi When the Rain? È stato un salto, in quale senso, in quale modo? Chi vi dato l’occasione?

LFN: Ci ha accolti Claudio Longhi, quando era direttore di Ert. Quello era il testo giusto da affrontare per crescere con un teatro di collettività. Lo ha detto Bovell per la presentazione del libro: “io non scrivo per un protagonista, scrivo sempre per una collettività”. Noi abbiamo provato con risultati più o meno ben riusciti a costruire questo tipo di teatro nel tempo. Ci fidiamo dei testi, obbediamo ai testi quando li riceviamo, conservando allo stesso tempo uno sguardo rivolto alla drammaturgia originale come in Ministero.

Ci ricordate di cosa trattava When the Rain?

LFN: Si muove avanti e indietro nel tempo, in maniera quasi molecolare, tra il 2039 e il 1959, ma non è diacronico.

AF: Parla principalmente di eredità, declina variamente il concetto di eredità: parte dal piccolo cerchio degli intrecci familiari, per arrivare a ragionare su cosa lasciamo ai figli del mondo, se vogliamo considerare un cerchio concentrico più largo.

C’era una pioggia continua…

AF: … nel centro dell’Australia, il luogo più secco del mondo.

LFN: È quasi un romanzo teatrale, c’è un lavoro meraviglioso di didascalie; quando l’abbiamo ricevuto abbiamo capito che era il testo che andava al centro dei problemi che ci interessano. Ce lo ha consegnato un caro amico, dicendo: “solo voi lo potete fare”, a dimostrazione di come è importante la comunità, lo sguardo di qualcun altro su di noi. 

AP: Nei temi sui quali ci siamo mossi ci sono stati sempre la famiglia, cosa consegniamo al futuro e come lo consegniamo.

LFN: I luoghi dove sono ambientati i nostri lavori non danno scampo, sono luoghi chiusi. Sono spesso case. Perché le case sono creature che contengono la storia grande e la storia piccola. Con Longhi abbiamo potuto lavorare con nove attori, ma senza intrusioni. La cosa particolarissima che abbiamo sempre difeso è stata quella di comprare sempre noi, come casadargilla, i diritti dei testi. Perché è l’unico modo di difendere la nostra autonomia. In questo modo non c’è possibilità da parte dell’istituzione di imporci gli attori. Detto questo, Claudio Longhi non ci ha mai chiesto di lavorare con nessun altro che non fosse parte del gruppo.

Come li avete scelti gli attori?

Con alcuni di quelli che collaborano in modo costante con noi abbiamo studiato insieme, come con Francesco Villano, con cui ci siamo incontrati intorno al 2007 in un atelier intorno al Re Lear di Shakespeare al Collatino Underground, a Roma. Così con Emiliano Masala, con Caterina Carpio, con Tania Garribba e con altri: sono ‘treni’ presi insieme, incontri avvenuti in differenti situazioni.

“Alleanza”, questo termine che avete suggerito per il futuro del teatro, che cosa vuol dire per voi?

AF: Comporta l’accettazione della perdita di un pezzetto di sé con la consapevolezza di far parte di un dispositivo molto più efficace delle nostre singolarità, che risponde meglio alle necessità di quello che reputiamo sia il patto che c’è tra vita e teatro per rappresentare il contemporaneo. Non è un caso che abbiamo pensato a Caterina, una delle attrici protagoniste, per leggere la parola “alleanza”. Anatomia di un suicidio è stato possibile, data la complessità del testo, del dispositivo, solo perché c’erano vari componenti che si assumevano una funzione simile a quelle che sono le colonne per sorreggere in scena la “casa” nel teatro più classico: i ruoli considerati secondari, rispetto alle tre protagoniste. Non c’era possibilità per le tre protagoniste di poter andare con le gambe dritte in scena se anche chi aveva meno battute non le diceva nel momento esatto.

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Anatomia di un suicidio, ph. Masiar Pasquali.

Con Anatomia fate un salto: arrivate al Piccolo Teatro come artisti associati. Cosa vi ha colpito di questo testo?

AF: Innanzitutto il fatto che è un testo musicale nel senso di accordo, interdipendenza in cui nessuno suona solo. Per ottenere una buona melodia le dodici voci suonano insieme, si sostengono. In più credo che fosse un caso potente e bellissimo declinato al femminile di trasformare la linea verticale di queste mamme figlie e nipoti in una sorta di sorellanza, perché averle in contemporanea insieme sul palco le rappresentava come una linea orizzontale, non solo verticale.

Le azioni, situate in tempi diversi, si svolgevano contemporaneamente, in un intarsio analogo a uno di quei “concertati” delle opere liriche in cui le voci si intrecciano, conservando anche spazi propri.

LFN: Ci ha colpito tantissimo il diritto a autodeterminarsi in quel testo, lo scandalo della morte quando significa suicidio, farsi fuori da quello che è quel determinato consesso degli uomini e delle donne. Lo abbiamo chiamato il diritto a farsi fuori, provando a maneggiarlo senza averne paura e senza giudicare. 

MP: Ed è anche scavare nel fondo dell’anima della malattia cosiddetta depressione senza nessun tipo di accondiscendenza. Paradossalmente Carol è una donna estremamente vitale, semplicemente non riesce a stare al mondo per come il mondo è.

LFN: E, ci teniamo a dirlo, ce lo ha dato Margherita Mauro, la traduttrice, questo testo, bellissimo, che ha tradotto come aveva tradotto When the Rain. Lei è anche un dramaturg e proprio per questo traduce così bene per il teatro. 

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Il Ministero della Solitudine, ph. di Claudia Pajewski.

Raccontate come nasce il testo di Il ministero della solitudine?

LFN: Lo creiamo dopo When the Rain. Abbiamo cominciato tutti noi, con gli attori, il gruppo allargato, a leggere testi, leggere, leggere, leggere, lentamente. In quello stesso periodo ci era arrivato Anatomia e l’avevamo custodito, messo da parte. Volevamo fare un lavoro più piccolo. Era evidente che non stavamo trovando un testo che ci parlasse. E allo stesso tempo, piano piano, risaliva l’esigenza di ritornare a uno di quegli esperimenti che per tanti anni avevamo praticato. Poi una sera Maddalena manda un messaggio a me e ad Alessandro e ci dice: “Oh, ma lo sapete che in Inghilterra hanno aperto un ministero della solitudine?”. Poi scrive: “Mi sa che mi candido”.

Il coraggio di dire questa cosa, rompendo lo scandalo della solitudine, ci ha fatto scoppiare a ridere, di quel riso che ti fa capire che hai trovato un “iper-oggetto”, come lo chiama Alessandro. A partire da quello avremmo potuto tornare a un’opera originale, a riflettere, a sperimentare una scrittura che non fosse una storia, ma al massimo una trama fatta di flash, incidenti, come quando osservi le cose da un treno, o mentre stai camminando e guardi in un palazzo con tante vetrate o in un acquario. E la persona a cui abbiamo subito chiesto di aiutarci a scriverlo, perché aveva preso un ‘treno’ per conoscerci e noi per conoscerlo, è stato Fabrizio Sinisi, che però subito ha fatto un passo indietro.

AF: In uno dei primi incontri ha detto che avrebbe accettato a una condizione: di firmare ogni parola, da autore. Alla fine del processo ha ribaltato questa posizione, sostenendo che tutto era nato dal talento degli attori sul palco e che il testo lo dovevano firmare loro. Noi gli abbiamo ribadito che quello che era cresciuto era venuto fuori anche grazie a lui. Alla fine abbiamo scelto la forma di far firmare agli attori, e di indicare Fabrizio Sinisi per la drammaturgia del testo.

LFN: Il lavoro di messa in scena si è messo in risonanza con le prossimità costruite da Fabrizio. A questo si è aggiunta una drammaturgia dei movimenti curata da Marta Ciappina, una vera e propria scrittura del movimento, che con le parole ha dato vita a una partitura, un concertato tra gesto e linguaggio, in quello che abbiamo chiamato uno spettacolo di danza con le parole.

A questo punto, con il successo di cinque premi Ubu, vi sentireste pronti ad assumervi compiti più impegnativi, come la direzione di un grande teatro? Perché oggi il sistema ha bisogno, più che mai, di rinnovarsi…

LFN: Ci sentiamo pronti. Sentiamo che è venuto il tempo. Ci piacerebbe: per poter ricercare, nell’alveo del lavoro che si può fare in uno spazio grande e importante, per consegnare qualcosa al futuro.

Città sola, ph. Angelo Maggio.
Città sola, ph. Angelo Maggio.

Intanto portate in giro altri lavori come Città sola, dal romanzo di Olivia Laing.

AF: C’è un solo corpo, una sola voce in scena, Lisa, in un dispositivo complesso, una città polipo, una città sola.

I progetti per il futuro?

AF: Diciamo che alterniamo progetti “di lotta” a progetti “di governo”. Produzioni con grandi teatri e lavori più piccoli. Con Rosalinda Conte, un’originale autrice, stiamo pensando a uno spettacolo per tre attori per giugno. Dovrebbe intitolarsi Animali notturni. Ma dato che siamo una compagnia a rilascio lento, stiamo riprendendo a studiare. E poi cercheremo di tenere in vita un repertorio, facendo girare le ultime produzioni, provando a continuare a lavorare col metodo di scrittura di Ministero. Poi nel prossimo dicembre riprenderemo, sempre al Piccolo di Milano, Anatomia di un suicidio.

Non riuscite a farlo girare?

Con i tre piani temporali che scorrono parallelamente ha bisogno di un allestimento complesso. Ci vorrebbero due giorni per montarlo. Speriamo sempre di poterlo rappresentare almeno a Roma, la nostra città.

 I finalisti e i vincitori dei Premi Ubu 2023 potete leggerli qui

  • Sugli spettacoli lacasadargilla leggi:

  • - Andrew Bovell, When the Rain Stops Falling; Distant Lights from Dark Places, 2019 (n.12), collana Linea di Luca Sossella editore / Ert

  • - Maddalena Parise, lacasadargilla, Fabrizio Sinisi, Il Ministero della Solitudine, collana Linea di Luca Sossella Editore / Ert

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L’ultima foto, raffigurante lacasadargilla alla premiazione degli Ubu, è di Malì Erotico.

 

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