Oceani. Atlantico
Il suo nome è Grande Mare Occidentale, ma noi lo chiamiamo Atlantico. Si è aperto con il separarsi dei continenti circa 190 milioni di anni fa. Oggi, arrivato alla sua età di mezzo, cresce un poco ogni anno per quanto abbia pochi vulcani attivi al suo centro. Secondo i geologi in epoche non troppo lontane comincerà a soffrire di convulsioni come un corpo malato e muterà forma e dimensione in modo drammatico. Allora i continenti torneranno ad unirsi saldandosi come nel passato remoto, o in forme consimili. Tutto questo dovrebbe avvenire tra 180 milioni di anni. Il che significa che alla fine, quello che per noi è l’oceano più vicino, di cui si parla con rispetto e timore, sarà durato 370 milioni di anni. Un’età ragguardevole. Questa enorme distesa d’acqua, la cui traversata costituisce ancora oggi un vanto per chiunque stenda le vele nelle sue acque, ha una forma a “S” e consta di 85 milioni di chilometri quadrati. Il nome della terra nuova, che lo contiene da nord a sud, insieme all’Europa e all’Africa, è America.
Le fu dato quasi per caso da due cartografi tedeschi, Martin Waldseemuller e Matthias Ringmann nel 1507. Avevano letto un librino intitolato Mundus Novus insieme a un documento successivo “Lettera al Soderini”, probabilmente di mano di Amerigo Vespucci, navigatore, esploratore, mago, e anche ruffiano, il primo che aveva scritto che il grande corpo di terra a occidente era “la quarta parte del mondo”. Testo ampolloso, molto letto nonostante l’epoca ancora poco alfabetica, conteneva una descrizione geografica fulminante. Ma perché America al femminile? Perché gli altri continenti erano già Africa, Europa e Asia, e maschile non poteva essere. Poi venne Mercatore e divise il continente in Nord America e Sud America.
Così all’oceano chiamato da Erodoto, e quindi da Plinio, Esperio, ovvero oceano occidentale, venne assegnato il nome di Atlantico da Varenio nel 1644 nella sua Geographia generalis, che ne descrisse i confini. Gli uomini non c’erano quando s’è formato, e non ci saranno probabilmente più quando scomparirà, anche se, come i progenitori nel Paradiso Terrestre, hanno dato un nome a tutte le cose, compreso questo mare dal colore grigio, tardo nei movimenti e pesante nella regolarità del suo respiro, come lo descrive Simon Winchester in un suo volume. L’Atlantico non somiglia per nulla al Pacifico e all’Oceano Indiano. Non è infatti blu come loro, ma grigio e ansante, sovente reso isolato dalle tempeste e gonfiato dai flutti, eppure continuamente attraversato da pescherecci, petroliere e immense navi con containers, natanti che s’alzano a prua e ricadono tra cortine bianche di spuma così da incutere nei naviganti sentimenti di rispetto, prudenza e paura.
Nell’elencarne i caratteri, Winchester scrive: l’Atlantico è l’archetipo dell’oceano; è il mare industriale di ferro; è un oceano vivo, e al viaggiatore che va da Nord a Sud, o viceversa, appare interminabile. Derek Walcott nel suo poema Omeros, dopo che l’eroe Achille sale su una spiaggia di ciottoli lasciandolo alle sue spalle minaccioso, enorme e grandioso, conclude: l’oceano semplicemente “è sempre là”. Nell’arco della sua considerevole vita saranno poco meno di 200.000 anni quelli in cui gli esseri umani sono apparsi e poi cresciuti sulle sue rive, o dentro i suoi flutti. Con il senno di poi, si può dire che, più che un separatore, l’Atlantico è stato un ponte. Per oltre sei secoli ha funto da centro del mondo, per quanto oggi si dica che il futuro della civiltà umana sarà tra le braccia acquose di un altro mare, il Pacifico. Nel frattempo l’Atlantico è stato la culla della civiltà occidentale.
L’elenco dei suoi meriti e demeriti – dalla nascita della democrazia parlamentare alla tratta ignobile degli schiavi – nel libro di Winchester occupa quasi un’intera pagina. La marcia dei nostri predecessori ominidi verso l’oceano è stata in definitiva molto rapida. Dopo aver abitato per 30.000 anni le praterie etiopi e kenyote, dando la caccia a ippopotami, elefanti e gazzelle, e cercando di mettere sotto tutela il fuoco caduto dal cielo, i remoti antenati sono scesi a sud verso la punta dell’Africa, diretti verso quel tratto di mare che sta al confine tra due oceani. I paleontologi hanno segnato il punto di questa scoperta: Pinnacle Point, promontorio che s’aggetta verso l’Oceano Indiano, primo luogo, stando alle attuali conoscenze, in cui gli uomini si sono stanziati sulle coste del mare per mangiarne gli abitanti.
L’Atlantico non è tutto uguale. Somiglia a un fiume sinuoso e serpentino: a Nord conosce le nebbie uggiose e a Sud i quaranta gradi del Sole; possiede fenditure abissali a occidente e piatte secche a oriente; è abitato da pesci volanti e tonni azzurri; contiene i vortici del Mar dei Sargassi e gli uragani che si abbattono sulle coste del Nord America, gli iceberg e la calda Corrente del Golfo, i pinguini e gli orsi polari, le grandi meduse e i volteggianti albatros cari ai poeti. Le acque piovane che lo colmano principiano dai laghi dello Zambia come dalle Alpi Svizzere, là dove nasce il Reno, così come terminano su una montagna alta 2500 metri nel Nord del Montana chiamata Triple Divide Peak, apice idrogeologico del continente nordamericano.
La geografia è la più immaginativa delle scienze inventate dall’uomo per conquistare le pianure, i mari, le montagne, e poi l’intero Pianeta, e oggi forse per salvarlo. Purtroppo è anche la più negletta delle materie nelle aule scolastiche del Bel Paese. Nel 1986 nel Mar dei Sargassi, centro immobile dell’Atlantico, da cui provengono le anguille, animali dalle innumerevoli metamorfosi, uno dei grandi misteri della Natura, è stata scoperta un’alga di colore verde-blu fino ad allora sconosciuta: Prochlorococcus. La vide una giovane ricercatrice, Penny Chisholm che stava navigando con un collega da Capo Cod verso le Bermuda. Si tratta della creatura vivente più diffusa del Pianeta. Col suo impiego della clorofilla produce circa un quinto dell’ossigeno atmosferico mondiale.
Al microscopio elettronico Penny e il collega videro il minuto organismo che la compone incorporare un tipo di clorofilla che assorbe anidride carbonica ed estrae dall’acqua del mare una piccola quantità di ossigeno, che risale poi nell’atmosfera. Senza il Prochlorococcus saremmo in gravi difficoltà, anche se fino a trentacinque anni fa non sapevamo nulla circa la sua esistenza. L’oceano è un mistero senza fine. Sarà terribile quando l’Atlantico si chiuderà, ma la cosa forse non ci riguarderà. Estinti o già migrati tra le stelle? Non si sa. L’acqua, qualunque sia la forma dell’oceano che verrà, sarà sempre là.
Cosa leggere per saperne di più
S. Winchester ha scritto un libro di libri: Atlantico (Adelphi); utile il gigantesco Storia marittima del mondo (Mondadori) di David Abulafia; si veda anche F. Morelli, Il mondo atlantico (Carocci) e B. Bailyn, Storia dell’Atlantico (Bollati Boringhieri); il libro del filosofo Roberto Casati, Oceano (Einaudi); Richard Ellis ha curato la bella Enciclopedia del mare (Codice Edizioni) e E.J. Rohling con Oceani, (Edizioni Ambiente) ha scritto una summa sul tema.
In copertina, Lenus ©Petros Koublis.
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