Oceani. Mediterraneo
Lo spettacolo deve essere stato straordinario: l’evento più eclatante della storia recente del pianeta Terra. Lo stretto di Gibilterra si aprì di colpo e le acque dell’Atlantico si riversarono in quell’affossamento oggi chiamato Mar Mediterraneo, allora una serie di laghi salati quasi prosciugati detti Lago Mare. L’oceanografo Eelco J. Rohling ritiene che tutto sia avvenuto in un arco di tempo che va da pochi mesi a due anni causando un innalzamento del livello del mare fino a 10 metri al giorno. Il boato della cascata deve essere stato assordante e la massa d’acqua che cadeva attraverso il varco apertosi enorme. Purtroppo, o forse per fortuna, non c’era nessun essere umano a guardare questo show della Natura: 5,33 milioni di anni fa.
Per quanto ci siamo separati dagli scimpanzé e dai bonobo 7 milioni di anni fa, ne sono dovuti trascorrere altri 3 prima che come bipedi ci muovessimo sul suolo della Terra. Per capire quando è nato il “mare nostro” bisogna perciò spostare indietro le lancette a 230 milioni di anni fa. Le terre emerse erano riunite in un grande continente battezzato Pangea e c’era un solo oceano immenso: Panthalassa. Dentro questo mare esisteva una sorta di grande golfo equatoriale detto Tetide. Con la deriva dei continenti e la tettonica a placche, Pangea si divise in due grandi corpi: Laurasia a Nord, con dentro i continenti che sarebbero stati America settentrionale, Europa e Asia; a Sud Gondwana con America meridionale, Africa, Oceania e Antartide. Tetide si allargò ed espanse fino a che non si formarono i continenti attuali. 130 milioni di anni fa Tetide fermò la sua espansione: era il Cretaceo inferiore. Al posto di Tetide si generò il Mediterraneo.
La geologia è una scienza fantastica perché funziona come una macchina mentale del tempo. Ci fa immaginare com’era il Pianeta e come sarà tra milioni di anni. 10-15 milioni di anni fa si formarono gli Appennini che, come giustamente scrive Predrag Matvejevic in Breviario mediterraneo, sono penisola e isola al tempo stesso. Si aprì il Mar Tirreno e sul fondo del nuovo mare si crearono imponenti montagne e l’arco vulcanico delle Isole Eolie. Poi alla fine del Miocene, circa 6-7 milioni di anni fa, lo spostamento dell’Africa chiuse il collegamento tra i mari: il Mediterraneo fu trasformato in un immenso lago salato. Il tutto durò solo 1 milione di anni, poi lo stretto di Gibilterra si riaprì (è profondo 300 metri e largo 13 km). Il Mediterraneo mare è un nano idrico: è lungo al massimo 3800 chilometri e largo 1800, e contiene solo l’1% dell’acqua del Pianeta Blu. Ed è stato l’Atlantico a invadere il Mediterraneo e a fornirgli la propria flora e fauna. “Mediterraneo” è solo una nozione geografica, il nome che gli abbiamo dato. Per indicare questa superficie d’acqua i greci e i romani avevano tre espressioni: “nostro mare”, “mare grande” e “mare interno”.
Prima ancora che si creasse la talassocrazia dei romani, era semplicemente il mare che si aveva davanti, ne scrive Erodoto parlando del suo lato orientale; la seconda espressione designava l’insieme dei mari chiamati Egeo, Ionico e Tirreno; “mare interno” perché c’era il mare esterno, l’Oceano e, come scrive Plinio il Vecchio, tre continenti gli stanno intorno. A coniare definitivamente questa formula fu Paolo Orosio, sacerdote, discepolo di Agostino, vissuto tra il IV e il V secolo dopo Cristo. La storia della parola non si ferma qui. Per trasformare “mediterraneo” da aggettivo in sostantivo è occorso altro tempo. La voce dell’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert ne segnala il passaggio: sostantivo femminile, almeno in francese. Forse la definizione più bella di Mediterraneo è quella di Paul Valery, autore di Cimitero marino (1920), che riposa a Sète in un assolato camposanto di fronte a lui. A differenza dell’Atlantico, sempre velato e grigio, nel “mare nostro” il sole è il “signore delle ombre”: il Mediterraneo è una follia di luce combinata a una follia di acqua. Il tema della definizione del Mediterraneo è posto dal libro che ha riaperto il dibattito storico su questo mare: Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (1949).
Il suo autore, il grande storico Ferdinand Braudel, si domanda: “Come definire il Mediterraneo?”. La prima risposta è: un mare chiuso dalle sue terre. Ma subito aggiunge: non è forse anche un mare tra le montagne? Matvejevic, che per scrivere il suo Breviario ha percorso le terre intorno e attraversato su barche e navi, ci parla delle montagne che gli stanno attorno, a partire dall’Appennino, cenerentola geografica del Bel Paese. Secondo lui è difficile conoscere l’intero Mediterraneo. Qui sta il paradosso: pur essendo un mare circondato da terre è difficile da definire. Per un fattore storico prima di tutto. Qui, sulle sue rive, e dentro le sue acque, sono passati tutti: Peslagi, Illiri, Liburni, Siculi, Sardi, Sciti, Chasari, Cretesi, Filistei, Etruschi, Punici, Fenici, Romani, e prima ancora i leggendari “popoli del mare”. Verso il mare sono scesi, partendo dalle pianure sarmatiche, i “popoli migratori”, per raggiungere Roma, la Spagna e le coste dell’Africa. Scipione Guarracino scrive che non esiste un’unica storia, così come, dice Matvejevic, non esiste una sola cultura mediterranea.
Mare chiuso e mare aperto insieme. Sei sono le sue zone leggibili nell’ambito geografico: l’Arco latino da Gibilterra alla Sicilia, la Conca adriatica con differenze tra il versante orientale e quello occidentale, il Fronte magrebino lungo la costa nord-occidentale dell’Africa, il Flesso libico-egiziano da Tripoli al Cairo, la Facciata medio-orientale e il Ponte anatolico-balcanico. E poiché le correnti sono le sue vie, bisogna accennare ai suoi motori freddi: nel Golfo del Leone, nelle acque del Nord Adriatico e nel Mare Egeo greco. Lì i venti che soffiano tutto l’anno rendono l’acqua superficiale più salata e fredda, ovvero densa. La stessa acqua densa esce dal Mediterraneo per entrare nell’Atlantico e produrre il clima globale da cui dipendiamo, quello che il riscaldamento globale sta alterando. Fino a cinquecento anni fa gli oceani e i mari erano ancora praticamente incontaminati. Sino a quando la popolazione mondiale non ha raggiunto il miliardo di persone, stava in equilibrio.
Forse il Mediterraneo era il più a rischio, ma ancora funzionava. Se vogliamo indicare una data simbolica, possiamo scrivere: 1820, la caccia alle balene. Inquinamento, acidificazione, sottrazione di riserve ittiche e diffusione della plastica hanno deteriorato i mari, a partire dal mare nostrum. Riusciremo a invertire la rotta? Intanto il Mediterraneo orientale sta andando verso la chiusura finale, man mano che l’Africa continua a ruotare verso l’Eurasia. La buona notizia è che ci vorranno parecchi milioni di anni. Siamo ancora in tempo.
Cosa leggere per saperne di più
E.J. Rohling, Oceani. Una storia profonda (Edizioni Ambiente) è importante; S. Carniel, Il futuro scritto nell’acqua (Hoepli); Predrag Matvejevic, Breviario mediterraneo (Garzanti) sempre utile; Mediterraneo di S. Guarracino (Bruno Mondadori) è una guida storico culturale breve; il libro storico più importante è Il Grande Mare di D. Abulafia (Mondadori) di 600 pagine; l’editore Mesogea di Messina ha pubblicato negli anni 2000 una bellissima serie di libri: “Rappresentare il Mediterraneo”, da cui attingere a piene mani.
In copertina, Réba ©Petros Koublis.
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