Le vacanze di Stendhal

5 Agosto 2013

La diligenza parte alle 7 da Milano diretta verso l’Alta Brianza. È il 25 agosto 1818. A bordo ci sono due amici, Giuseppe Vismara e Henri-Marie Beyle, insieme a un mercante di Reggio, una poppante e altri passeggeri. Sin dalla partenza Beyle tiene un diario. Scrivere per lui non è un mestiere, anche se ha già pubblicato da poco una sorta di racconto di viaggio, Roma, Napoli e Firenze, mentre Passeggiate romane uscirà tempo dopo. Quello che deve ancora nascere è un romanzo che gli darà vent’anni dopo la fama imperitura: La Certosa di Parma. Lo pubblicherà con il nome di Stendhal, pseudonimo con cui, da allora in poi, sarà conosciuto in tutto il mondo per tutte le generazioni future.

 

Vismara e Beyle sono diretti a Inverigo, ridente paese della Brianza, dove c’è il palazzo di Luigi Cagnola, famoso architetto milanese, che si è fatto costruire un’imponente Rotonda, uno delle costruzioni più curiose ed eccentriche del circondario, ancora oggi meta di visite. Prima di vederla, i due passeggeri si fermano a Giussano e salgono sul campanile. Vismara, prima di ascendere per i ripidi scalini, piscia dentro l’acquasantiera. Subito dopo uno scalino si spezza sotto i suoi piedi. In cima la vista è degna della fatica: il Duomo di Milano a mezzogiorno, disegnato in grigio; a destra, la chiesa di Rho, che buca l’orizzonte; poi il campanile di San Gaudenzio a Novara, città natale del Vismara. Se oggi Stendhal dovesse risalire le medesime scale, non vedrebbe più nulla del genere per via dell’aria piena di polveri sospese. Quasi duecento anni dopo tutto appare immerso in una nebbia rossastra che non fa vedere neppure i grattacieli che la classe dirigente, e i politici lombardi, hanno eretto, o stanno erigendo, a ritmo serrato in questi ultimi anni. Dalla cima della Rotonda i due amici hanno poi la sensazione, guardando verso l’orizzonte, di scorgere un mare al posto della pianura. Oggi, principio d’agosto, solo dopo una giornata di pioggia battente si riesce a riavere una visione simile, anche se la densità delle costruzioni, i profili dei palazzi e gli agglomerati urbani, sparsi a macchia di leopardo, dominano su tutto, e il verde della pianura irrigua è contrastato dal rosso dei tetti e dal grigio dei condomini.

 

La meta di Stendhal è Alserio e il suo lago, uno dei miracoli di questo paesaggio. Qui una serie di laghi e laghetti, vaste risorgive o invasi d’acque che scendono dalle Prealpi, determinano, nonostante i nastri autostradali, i plinti di cemento e gli svincoli a forma d’anello, la forma stessa del paesaggio: lago di Segrino, di Alserio, di Pusiano, di Annone, di Garlate. Un paradiso, così doveva essere all’epoca questo paesaggio: uno dei posti più belli d’Italia. Persino il Lambro, inquinato oltre misura, devastato da una fuoriuscita di petrolio dai depositi di Villasanta, alle porte di Monza, per cui non sembrano esserci ancora responsabili, sotto le rocce di Pontescuro appare nel diario dello scrittore francese “niente male”. Le pagine, poche ma vivissime, che Beyle stende, non sono destinate ai lettori; sono appunti privati: “Un diario simile è fatto soltanto per chi lo scrive”; gli serve come strumento “per riportare alla mente e rendere presenti tutte le sensazioni di allora”. Il 26 agosto dopo colazione si mettono in cammino a piedi lungo il lago di Pusiano, il più grande. Là dove i due amici scorgevano piccole colline non molto alte e ben imboschite, che chiudono il lago conferendogli un aspetto dolce, oggi ci sono ville, villette, condomini. Scendo anche io verso il lago, dal lato sud, che costeggia la strada che va da Ello a Galbiate. Due o tre ristoranti, poi un grande centro sportivo, con un’enorme piscina coperta, duplicata sulle rive del lago da un altro impianto. Il tutto si chiama, manco a dirlo, “Stendhal”. Sulla riva una fila di ombrelloni gialli accompagnato da un vociare intenso. In alto, si scorge un grande scivolo d’acqua, anche lui in giallo. In acqua, dentro il lago, nessuno. Non ci si fida troppo; meglio le acque degli invasi artificiali.

 

Il 21 agosto Beyle e il suo amico italiano s’imbarcano per l’isola in mezzo allo specchio d’acqua. All’albergo di Oggiono la guida che li conduce sparisce di colpo, mentre appare una donna bellissima insieme a un fanciullo, di cui la padrona della locanda gli aveva parlato poco prima. Arriva anche un’altra donna, che Beyle definisce: “niente male”; la paragona ai ritratti dei pittori veneziani. Vanno a prendere un caffè e poi sul lago. Scrive: “Sento che avrò un momento di vivo piacere”.

 

Nelle pagine di Stendhal, come in quelle di molti viaggiatori stranieri, forse non tutti ma certo molti, l’estetica dei luoghi, la luce, il colore, le forme dei monumenti, delle colline, dei fiumi, delle rogge, delle foreste e dei villaggi, si confonde e si amalgama con una sensazione di sensualità diffusa, con il desiderio e una mai sopita pulsione sessuale. Un atteggiamento tipico degli uomini, probabilmente, che il paesaggio italiano sembra esaltare. Stendhal va in barca con una giovane donna e il fratello di lei: “Voi siete pescatrice e peccatrice”, le dice scherzando. La ragazza risponde con franchezza: “Sì”. Da quel momento nell’alloggio di Oggiono – ancora oggi una bella cittadina, in parte stravolta, in parte invece intatta nei cortili, nelle case, nelle ville, nel battistero romanico – lo scrittore non fa altro che pensare all’incontro erotico con la bella pescatrice, mediatore un ragazzino. “L’aspetto sotto cui vedevamo il bel lago di Pusiano è cambiato tutto a un tratto”, annota Stendhal.

 

Nelle giornate domenicali lungo le rive del lago, nella parte di Annone Brianza, dove i verdi campi degradano in direzione dei canneti, c’è sempre molta gente, soprattutto quest’anno. Qualche coppia che si è appartata, ma sono per lo più famigliole. Parecchi stranieri: russi, romeni, gente dell’Est, con i macchinoni parcheggiati lì accanto.

 

Il 28 agosto alle 8 Beyle e l’amico prendono il caffè; alle nove sono con una vedova, definita “un orrore”. Poi si precipitano verso il lago, sicuri del fatto loro. S’imbarcano con la pescatrice. E succede lì: “a gran fatica una chiavata, e lei minaccia di gettarsi nel lago”. Durante il rapporto sessuale, scrive Stendhal, dice di continuo: “minc, minc”. Che poi sarebbe l’espressione lombarda: minga, “non ne voglio”. Viene due volte, e alla fine ha l’aria stanca. Un dettaglio che nella prima edizione dello scritto è stato omesso dai pudichi curatori. Il racconto nel diario intimo continua. Alle 10 tornano a riva a prendere il fratello e con ragazza fanno in due ore, da bravi turisti, il giro del lago. Nelle note di spesa, dettagliatissime, la “peccatrice” riceve 3 lire e 7 soldi e mezzo; il barcaiolo 3 lire. Annotazione parsimoniosa.

 

Oggi sono sul lago, non c’è nessuna barca in giro per lo specchio d’acqua, solo un pedalò ancorato vicino a un prato. Vista da vicino la superficie d’acqua non sembra ispirare una così grande passione, ma dall’alto, salendo i monti che gli sono dirimpetto, dalla parte di Colle Brianza, e guardando giù, i due specchi ai piedi delle montagne ispirano un’emozione che può facilmente tramutarsi in qualcosa di sensuale. Stendhal, da cui ha preso nome la celebre sindrome, è un uomo emotivo, pieno di desideri, uno che sa capire la bellezza, interpretarla e indirizzarla: un sentimento pagano del paesaggio e della bellezza, in particolare femminile, come mostrano i diari intimi, gli appunti di viaggio, i romanzi, la sua pseudo autobiografia. L’Italia, la Lombardia, e soprattutto Milano sono il luogo della felicità. Il 29 agosto, alla fine del viaggio, scrive: “Abbiamo fatto male a fermarci ieri sera ad Oggiono, non bisogna mai restare due giorni di seguito nello stesso luogo”. Come dargli torto?

 

 

Un po’ di bibliografia

La prima edizione emendata di questo diario di Stendhal è apparsa in Journal d’Italie (1911), poi tradotta in italiano nel 1942; nel 1977 è uscito il Diario presso Einaudi, con i tagli della prima edizione; e solo nel 1982 Gallimard ha raccolto tutto in Oevres intimes, due volumi a cura di Victor Del Litto, che ora sono la base di ogni traduzione. È in circolazione un’edizione delle sole pagine brianzole: Diario del Viaggio in Brianza (agosto 1818), a cura di Sara Pozzi e Paolo Pirola, Bellavite Editore, Missaglia, uscita nel 2008, che contiene anche un testo teatrale di ambiente brianzolo: “Un forestiere a Desio”. Sul paesaggio della Brianza si leggono le pagine nella bella guida: Lombardia del Touring Club Italiano; altre notizie in Alberto Ghirlandini, Guida Artistica di Brianza e Comasco, Electa.



L’articolo è apparso con qualche variante su La Stampa
 

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